Marina ancora al Sadistique, festa BDSM

Nell’avvicinarsi al nostro mondo molti si chiedono … cosa si prova … ma è possibile che … ma il dolore … e l’umiliazione … ??!!
Domande cui è possibile rispondere solo con la voce di chi è dentro, di chi ha sperimentato. Ed ancora meglio se la voce è novella, da new entry, da persona non ancora condizionata da schemi o stereotipi.
La voce di Marina è tutto questo con la sua giovane età e la sua storia molto recente. Non è l’unica in questi giorni sul Blog perché anche Roby non scherza e ancora tra poco la leggeremo.
Per Marina questo è il suo secondo
Sadistique e il suo battesimo sia di gioco sia di una festa è stato a marzo di quest’anno (vedi Blog del 4 marzo).
Testo stupendo e banali le foto, ma come lei stessa dice del testo, la cosa che di lei parlava in modo superlativo non erano i genitali spalancati ma il suo viso incantato, i suoi occhi sognanti. Quelli erano da riprendere ed immortalare! Ma la privacy ha sempre il sopravvento su tutto.
Fulvio

Tra le gambe mi ustiona un fuoco, liquido e denso insieme.
Stringo i pugni, legati dalla corda che si tende. E mi tendo. Nel tentativo di sfuggire alla cera che mi cola nei punti più inaccessibili. Non posso…
Apro gli occhi e mi convinco a respirare più lentamente. Guardo i pannelli, come grate giapponesi, del controsoffitto.
La luce sta variando impercettibilmente dal porpora al blu?
Ancora cera, gocce di dolore. Riconosco a malapena le persone intorno a me. Ora sono tre… No, quattro. Mani mi accarezzano, mani mi sfilano un nastro che si è allentato, e mi sta scivolando via dai capelli. Mani dentro di me, inguantate di nero lattice.
All’improvviso sorrido, colta impreparata da un pensiero che mi distrae per un solo istante: è successo di nuovo… Le maglie del tempo si sono disfatte, ogni cognizione è sfalsata, ed ora sono lontana trecento chilometri, ed un milione di anni dal mio lavoro, dalla mattinata passata a guardare l’orologio, in attesa di srotolarmi sulla strada per Milano, dai bagagli speciali, preparati per questa domenica di inizio giugno.
Il mio secondo Sadistique.
Sembrava fosse impossibile per me partecipare, oggi. Difficilissimo partire in tempo, finire di lavorare entro mezzogiorno. Ma quando poi la cosa si è rivelata fattibile, ogni mio pensiero è stato rapito dall’idea di essere qui. Le mie cose pronte, già caricate sull’auto, l’itinerario chiaro in mente. Saluto i colleghi, ci rivediamo tra qualche giorno: ci rivediamo in un punto così lontano e indefinito del futuro! Ho i capelli bagnati, non li ho asciugati dopo la doccia. Mi sono data la crema, massaggiandomi le gambe lisce: tra poco saranno segnate da rosse striature in rilievo, da lividi scuri.
Ho preso tutto? Saluto ancora con la mano, partendo, gli occhiali da sole, una sigaretta tra le dita, l’aria spensierata di chi va in vacanza, la febbre d’emozione ben nascosta dai convenevoli. Se immaginassero…
Mentre parcheggiavo ho incontrato Colette, e siamo entrate insieme; io baldanzosa al suo fianco, emozionata ma forte della mia esperienza precedente, mi sono avvicinata al banco della reception affettando un’aria da cliente di vecchia data, anche se sapevo di non sembrare poi così disinvolta.
Sbrigate le formalità, cambiandomi ed entrando lentamente nell’atmosfera, sentivo l’agitazione crescere, e mi permettevo di stupirmi, per il senso d’imbarazzo che credevo superato.
Anche questo è parte integrante del sofferto piacere che posso incontrare solo qui.
Layoner, amico di Colette, e persona squisita, mi ha accompagnata dentro.
Ci siamo seduti, un drink, parole e mondi si sono intrecciati… Poi?
Da quanto tempo sono immobilizzata qui?
Non so, ora non saprei dire, quando, come sono mi sono ritrovata così legata, al centro dell’attenzione di queste apparizioni che mi circondano, si prendono cura di me, mi ruotano intorno… Io sono il centro dell’universo, la fiamma delle candele che danzano su di me è alimentata dalla mia sofferenza. Dal mio piacere.
Stimoli diversi giocano ruoli contrastanti nella mia mente, mi confondono, mi annebbiano, e al contempo mi trattengono, saldamente inchiodata alla materia del mio essere. Sono viva, presente e terribilmente cosciente di ogni acuto scorrere dei messaggi più intensi sui fili ingrovigliati delle mie terminazioni nervose.
Ancora, provo l’inebriante sensazione di essere sconnessa dal tempo, inattaccabile, lontana da qualsiasi altro avvenimento, creatura primordiale senza passato, futuro, né memoria. Esisto solo ora, nel contorcermi, nel costringermi a non dire basta, nel cedere, invece, alla sofferenza e chiedere che smettano, per poi pentirmi, vergognarmi, e ritentare, decisa di superare un limite, il mio, per dimostrare la mia forza, la mia volontà.
C’è tutto in questo mio stato. Tutto ciò che gonfia l’anima, tutto ciò di cui ho bisogno, e quasi mi commuovo, se ci penso; ma se ho gli occhi umidi, non è per questo…
Rocks: il suo caschetto di capelli setosi è illuminato dalle luci nella penombra del Nautilus. Mi sorride, mi sfiora. Ma io non posso mettere a fuoco l’esatta realtà, perchè fremo, espiro, e vivo in un mondo onirico. Ogni ondata di dolore che mi raggiunge, mi strappa dal sogno, per poi lasciarmici scivolare più profondamente.
Mi toccano le mani, Colette, forse. Sussurrano frasi che non capisco. Ho le mani troppo fredde? Piano sciolgono i nodi che mi stringono, e mi liberano dalla più grande sensazione di libertà che io conosca .Paradosso?
Muovo a fatica le gambe, doloranti per la posizione a lungo tenuta, e mi sfugge qualche lamento, ma non per le articolazioni irrigidite: “Sto bene” protesto non troppo convinta “potevo continuare…”
Ma so anch’io che è giusto, che c’è ancora tempo, che devo tornare un po’ in me, per ricominciare tra un sospiro appena.
Non mi è chiaro quanta gente ci sia, ma scorgo volti conosciuti, sorridenti.
Dopo un’eternità, e così presto, sono piegata sul cavalletto, sotto i colpi della frusta, la mia passione, il supplizio più temuto e preferito.
Subisco orgogliosa, e a fatica i colpi. Mi si piegano le ginocchia, ma li vorrei più forti. Alcuni tolgono il fiato, non mi lasciano cuore per gridare. Stento ad accorgermi che diverse persone si alternano ad occuparsi di me. Ad ogni colpo non posso fare a meno di desiderare che sia l’ultimo, e pregare che ce ne siano ancora. E quel dolore… Sapete di cosa parlo, vero? Diverso da qualsiasi altro, ferisce, sconvolge…
Non lo sapevo. Davvero. Mi è stato detto che è evidente, ma io non ne ero a conoscenza: c’è del vero godere in tutto questo. Ancora adesso, l’ammetterlo, scriverlo, mi pare quasi un’eresia. Eppure sto imparando a riconoscerlo. Non solo perchè sono bagnata. Non solo perchè la mia natura di schiava trova il suo spazio, o perchè il mio egocentrismo esulta …
E’ proprio il dolore, la chiave. Questo dolore sapientemente inflitto, magistralmente dosato, provoca qualcosa che non so spiegare, qualcosa di fisico, reale, tangibile come un nuovo modo di inventare l’orgasmo
Mi sfinisce. E finisce. Troppo presto.
Ma la giostra continua a girare solo per me …
Bevo dal bicchiere che ho in mano, guardando ammaliata Colette sospesa, appesa, muoversi sulla musica eterea, perfetta, legata alla vita, tirata da un corda alla caviglia, leggera e carnale e bellissima, e la guaderei per sempre, staccata dal terreno per uno sfiorare di dita. E amo guardarla anche dopo, semplicemente appoggiata ad una colonna, sotto i colpi precisi della frusta di Shak che la segnano meravigliosamente, ma sono distratta: “Te le toglierò quando avrò finito di frustarla” mi ha detto lui allargandomi le gambe e chiudendo due pinze cattive e strette sulla mia carne. Aspetto, seduta in una smorfia sofferente, ammirata dallo spettacolo che ho davanti.
Fulvio fotografa il mio supplizio e mi sorride: “L’immagine che davvero vorrei immortalare non è qui” mi sussurra indicando il mio ventre “ma sul tuo viso.”
Mi sento, intorpidita, grata, fiera…
Colette e Shak hanno terminato la sessione, mi parlano, mi tolgono in due, nello stesso istante, le pinze, facendomi mordere le labbra, perchè non so dove e come questa chimica nel mio corpo funzioni, ma la liberazione dalla morsa è forse più dolorosa della sua applicazione.
Perchè raccolgono le loro cose? Mi guardo in giro confusa … Sono le otto.
Cinque ore. Pochi minuti. Possibile?
Davvero il tempo riesce ad assumere questo aspetto ingannevole?
A contrarsi e dilatarsi in modo così irreale? Non vorrei fosse ora di andare …
Usciamo, e fuori è estate, c’è ancora il sole.
Da adesso dovrò spettare l’autunno.
marina

Tags: No tags

Comments are closed.