Un altro allievo etero

Non sono in pochi a stupirsi che io, etero, abbia anche allievi etero. Qualcuno probabilmente sospetta che “sotto sotto…ci sia qualcos’altro”. In proposito, posso rispondere solo per me, non per loro. A me gli uomini non interessano, sotto il profilo sessuale. Se poi dovessi scoprire di essere bsx, o gay, non sarebbe certo un problema, ma per ora continuo a interessarmi alle donne. Se cambio idea, prometto di tenervi aggiornati. Ho già detto in passato di preferire allievi etero, per un paio di motivi. Da un lato, restando esclusa l’interazione sessuale, la loro domanda di correzione è più “pura” e spesso più forte. Sono sempre ben motivati, al contrario di qualche gay o bsx magari contento solo di mostrarsi nudo e passivo davanti a un altro uomo. La seconda ragione è contenuta proprio nelle parole “mostrarsi nudo davanti a un altro uomo”: per un etero è senz’altro più umiliante e vergognoso e quindi – educativamente parlando – si inserisce meglio nel contesto correzionale.

Io ho una grande stima dei miei allievi, tutti. Ammiro il loro coraggio – perché di questo si tratta – nello scrivermi e cercare un’esperienza così forte con un sostanziale sconosciuto. Ho provato a mettermi nei loro panni e non credo sarei altrettanto coraggioso. Quindi ammiro ancora di più chi, con moglie o fidanzata, pensa sia il momento di porgere le natiche e il buco del culo alla vista di un altro maschio. Perché non è che io ci vada giù leggero: commento più che volentieri e con pesante sarcasmo il suo “culo carnoso, fatto per la frusta” e il suo “buco merdoso e puzzolente, degno di quello schifoso maiale segaiolo che è”. Se con i gay o bsx dichiarati il plug anale per me è un optional, con gli etero diventa un must: appena mi scrive un etero, io già immagino cosa gli infilerò nel culo, ben in profondità, in modo che lo senta senza indugio. Degradare la mascolinità di un allievo etero è una gran parte della mia soddisfazione.

Ma vi volevo raccontare di un allievo (etero) in particolare. Lo chiameremo Mattia, tanto per dargli un nome che non sia il suo. Sin dai primi contatti si mostrò estremamente rispettoso e formalmente ineccepibile, facendomi buona impressione. Non era di Roma, ma ci veniva spesso per lavoro. Mi dichiarò la sua paralizzante timidezza, e questo mi diede una misura della sua determinazione. L’unico aspetto lievemente negativo, non voleva alcuna documentazione foto o video delle sessioni, nemmeno con l’ovvia precauzione del niente viso e particolari riconoscibili. Va bene, suo diritto. Quindi non mi mandò nemmeno la foto “di buona volontà” che richiedo sempre, restando quasi sempre accontentato: nudo a 4 zampe, col culo in mostra, e cartello con data e dicitura “per Educatore Severo”. (così si allontana il 90% di indecisi e il 100% di cazzari). Non lo intervistai neppure – altra eccezione alle mie normali procedure – perché istintivamente mi fidavo. Lo convocai nel mio studio e mi tolsi il sottile piacere di vederlo fare su e giù sul marciapiede, guardando nervosamente l’orologio, in attesa che scattasse l’ora precisa in cui doveva presentarsi. Le finestre del mio studio danno sulla strada e – sì, lo ammetto – osservare non visto chi sta pensando che tra poco assaggerà la mia canna sul nudo mi dà una notevole soddisfazione. Eravamo d’accordo che avrebbe mantenuto sempre lo sguardo basso, e così fece.

Ma proprio adesso mi viene in mente che in realtà non voglio raccontarvi la prima sessione con lui, bensì la seconda. E questo perché, se pure questa volta non lo osservai attendere per strada, ormai aveva già sperimentato la frusta e quindi sapeva bene cosa lo aspettava. E la mia soddisfazione nell’accogliere un allievo che già conosce i morsi della mia canna è molto superiore a quella di osservarlo, nervoso ma sostanzialmente ancora ignaro. Sono un po’ sadico? Beh, forse sì.

La “seconda volta”, sia per l’allievo che per me, è sempre un po’ speciale, e sempre in senso positivo. Il ghiaccio ormai è rotto, non c’è nessun senso di pericolo (“da chi mai sono andato?”, o “chi mai mi sono portato in casa?”), si è già “annusato” l’altro. L’atmosfera è quindi più rilassata e le cose si fanno meglio. Si conoscono già – almeno in parte – i rispettivi limiti, le preferenze, le idiosincrasie. Io so in che direzione posso spingere, e fino a quanto. E non lo so perché mi è stato semplicemente detto, ma perché l’ho provato dal vivo, la volta precedente. Se fosse possibile, io inizierei sempre dalla seconda sessione, mai dalla prima (è una battuta, non preoccupatevi!).

Avendo già preso le misure di Mattia, ci avevo riflettuto parecchio. Non sto mai a girarmi i pollici, tra una sessione e la successiva: penso sempre a cosa migliorare, in base alla psicologia che ho incontrato. Il giovane era timido, molto, ma anche deciso. Non si sottraeva a nulla ed era umile, docile, sottomesso. Un allievo ideale? Sì. Nella prima sessione si era preso due begli schiaffoni per essersi tolto pantaloni e mutande quando gli avevo ordinato di togliersi solo i primi (sulla possibilità di schiaffi avevamo un preciso accordo: io non schiaffeggio mai senza un accordo preventivo). E se li riprese anche la seconda volta, con in aggiunta una sfilza di insulti per l’essere talmente cretino e rincoglionito da non ricordarsi di non doverlo fare. Anche qui, il fatto di poterlo insultare a viva voce me lo permettevo avendo già osservato in precedenza la sua positiva reazione agli insulti verbali. Dopo la consueta e particolareggiata confessione, fu mandato in cornertime per dieci minuti (tempo standard di due mie sigarette). Ed ecco perché vi volevo parlare della seconda sessione, e non della prima: vi spiego le mie “migliorie”, frutto dell’esperienza specifica. La prima volta, per il cornetime gli avevo infilato un plug corto e ben stabile, di colore rosso scuro. Non era riuscito a cagarlo fuori, come gli avevo poi ordinato, ma non era colpa sua: era davvero ben stabile. Così questa volta andò all’angolo con una semplice candela bianca, infissa molto più in profondità, ma assai più mobile. E poi – Signore e Signori – bianca. Come credete esca una candela bianca dopo un quarto d’ora, espulsa di forza su mio ordine? Non proprio bianca, no. Avevo calcolato di poterlo fare, e così l’avevo fatto. L’epiteto di Mattia cambio immediatamente da “lurido segaiolo” in “segaiolo merdoso”, e l’evento fu sottolineato da un altro paio di schiaffi. Dove e quando so che posso spingere, spingo.

Mattia naturalmente disponeva di una safeword, che nella prima sessione non aveva usato anche mentre piangeva sotto i colpi di bacchetta (30). A me il fatto che piangesse non dispiaceva per nulla, e anche nella seconda sessione mi assicurai succedesse. Sapevo che ne poteva prendere 30, così a causa della candela sporca gliene annunciai 40. E quaranta ne prese, piangendo, ma senza usare la safeword. Alla fine aveva un culo come piace a me: bello gonfio, di quelli che per tre giorni quando ti siedi ti ricordi cos’è successo. Il secondo cornetime lo fece – come prescritto – in ginocchio e con le mani sopra la testa. Purtroppo in genere i maschi smettono presto di singhiozzare (al contrario delle donne), ma se il mio udito non era soddisfatto, la vista di quel culo gonfio e viola, ben spinto in fuori, fu un ottimo accompagnamento per altre due sigarette, fumate in silenzio. L’unico mio rammarico, non poter ritrarre il lavoro con la cam o la macchina fotografica.

Vi chiederete forse se ci sia stata una terza sessione, con Mattia. Sì, ci fu. E con nuove iniziative correzionali. Ma di questo parleremo forse un’altra volta.

Quello che volevo sottolineare oggi è forse ovvio, ma non sempre scontato: solo la conoscenza diretta, pregressa, permette di migliorare la qualità delle sessioni. L’educatore dovrebbe prestare attenzione a ogni anche piccolo segnale dal corrigendo, che gli suggerisca in che direzione spingersi la volta successiva. Per quanto si prendano accordi preventivi, la prima sessione è sempre una prova e – secondo me – dev’essere breve e leggera. Allo stesso tempo, non dev’essere mai finta. Nella prima sessione si può provare a “suggerire” attività e tecniche che verranno sviluppate in seguito, verificatone il gradimento; ma non si deve imporre nulla per forza. Per questo sono contrario a quei master che, sin dall’annuncio, dimostrano di avere in testa una propria sceneggiatura, già scritta a prescindere dall’altro “attore” (il corrigendo). So che ripeto sempre le stesse cose, ma lo faccio perché sono importanti. Molti si esprimono come se il corrigendo fosse un regalo piovuto dal cielo, un oggetto del quale disinteressarsi se non per i propri comodi. È per questo che molti allievi mi confessano che le loro esperienze precedenti sono state delle mezze tragedie, alcune delle quali concluse con fughe precipitose. Est modus in rebus. Sempre.

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