La boxe femminile ha sempre turbato gli uomini.
I più, lo hanno sempre osteggiato, con successo sino a pochi anni fa. I motivi, più o meno inconsci, erano almeno due.
Il primo era la gelosia per questo rito celebrativo delle virilità più plateale ed esasperata. Il secondo era l’invidia per quelle donne che avessero avuto il coraggio di salire su di un ring, cosa che la maggior parte di loro non avrebbero mai osato fare.
Ma per una folta ed esuberante minoranza, invece, la boxe femminile era, ed è ancora, un concentrato esplosivo di feticismo e sadomasochismo in chiave lesbica. Il guantone ricorda il glande di un pene ed a nessuno sfugge l’allitterazione tra “cazzo” e “cazzotto”. Nel pugilato femminile, due donne cercano, sul piano simbolico, di sopraffarsi a vicenda usando non uno ma addirittura due falli per ciascuna!!! Negli intervalli tra i rounds, poi, le due pugili siedono agli angoli, sugli sgabelli, con le cosce divaricate, offrendosi simbolicamente reciprocamente la vulva mentre le seconde, in un premuroso e sensuale affaccendarsi di mani su braccia, facce e guantoni, celebrano un rito di confidenza lesbica.
Le due pugili, l’una alla mercè dei pugni dell’altra, sono, ad un tempo, sadiche e masochiste. L’arbitra, signora assoluta del ring, che sanziona, costringe, proclama, è l’unica incontrastata sadica presente sul quadrato.
Il tutto in un set di bondage delimitato da dodici robuste corde da cui le pugili non possono evadere, se non dopo aver consumato la sopraffazione di una sull’altra. E la conclusione è coronata da un