FIGLIO, FIGLIO, FIGLIO

Quante volte l’ho sentita scavarmi dentro ai concerti, quante volte l’ho cantata, urlata con gli amici in macchina mentre tornavamo verso casa, sentendo le parole dentro di me, ogni parola una riga sul cuore, cantavamo e ci guardavamo e sentivamo tutta le verità di queste parole.
Noi che figli non lo siamo stati mai fino in fondo, o lo siamo stati male o nel modo sbagliato, ed ora siamo dall’altra parte e a volte siamo confusi, spiazzati di fronte a questi nostri figli, e vorremmo che loro stessere meglio, sì meglio di come siamo stati noi, ma temiamo, in fondo, che non stiano affatto meglio, quella è la nostra paura.
E allora anche le parole di una canzone ci fanno sentire meno soli, ci ricordano che certe esperienze sono inevitabili, che crescere ha le sue fasi, ed è difficile.
Guardo i miei figli e penso a quanta strada dovranno ancora fare, a cosa ne sarà di loro e allora una preghiera sale dal mio cuore, rivolta non so neppure io a chi: ” Fa che la vita gli sia lieve” e sento dentro di me l’assurdità della mia preghiera, la vita non è mai lieve, non puo’ esserlo per tutto o per sempre, e a volte un certo timore mi assale e allora vorrei conoscere il futuro, e allora
“dimmi cosa ne sarà di te?
Dimmi cosa, dimmi cosa ne sarà di me? ”
Dafne
Figlio chi t’insegnerà le stelle
se da questa nave non potrai vederle?
Chi t’indicherà le luci dalla riva?
Figlio, quante volte non si arriva!
Chi t’insegnerà a guardare il cielo fino a rimanere senza respiro?
A guardare un quadro per ore e ore fino a avere i brividi dentro il cuore?
Che al di là del torto e la ragione contano soltanto le persone?
Che non basta premere un bottone per un’emozione?
Figlio, figlio, figlio, disperato giglio, giglio, giglio
luce di purissimo smeriglio, corro nel tuo cuore e non ti piglio
dimmi dove ti assomiglio figlio, figlio, figlio
soffocato giglio, giglio, giglio, figlio della rabbia e dell’imbroglio,
figlio della noia e lo sbadiglio,
disperato figlio, figlio, figlio.
Figlio chi si è preso il tuo domani?
Quelli che hanno il mondo nelle mani.
Figlio, chi ha cambiato il tuo sorriso?
Quelli che oggi vanno in paradiso.
Chi ti ha messo questo freddo nel cuore?
Una madre col suo poco amore.
Chi l’ha mantenuto questo freddo in cuore?
Una madre col suo troppo amore.
Figlio, chi ti ha tolto il sentimento?
Non so di che parli, non lo sento.
Cosa sta passando per la tua mente?
Che non credo a niente.
Figlio, figlio, figlio, disperato giglio, giglio, giglio
luce di purissimo smeriglio, corro nel tuo cuore e non ti piglio
dimmi dove ti assomiglio figlio, figlio, figlio
spaventato giglio, giglio, giglio, figlio della rabbia e dell’imbroglio,
figlio della noia e lo sbadiglio,
disperato figlio, figlio, figlio.
Figlio, qui la notte è molto scura,
non sei mica il primo ad aver paura;
non sei mica il solo a nuotare sotto
tutte due ci abbiamo il culo rotto:
non ci sono regole molto chiare,
tiro quasi sempre ad indovinare;
figlio, questo nodo ci lega al mondo:
devo dirti no e tu andarmi contro,
tu che hai l’infinito nella mano
io che rendo nobile il primo piano;
figlio so che devi colpirmi a morte e colpire forte.
Figlio, figlio, figlio, disperato giglio, giglio, giglio
luce di purissimo smeriglio, corro nel tuo cuore e non ti piglio
dimmi dove ti assomiglio figlio, figlio, figlio
calpestato giglio, giglio, giglio, figlio della rabbia e dell’imbroglio,
figlio della noia e lo sbadiglio,
adorato figlio, figlio, figlio.
Dimmi, dimmi, dimmi cosa ne sarà di te?
Dimmi, dimmi, dimmi cosa ne sarà di te?
Dimmi cosa, dimmi cosa ne sarà di me?
Roberto Vecchioni

NODI CHE SCIOLGONO NODI

Ho scoperto, tempo fa, di amare le corde.
Non le corde che mi immobilizzano durante una tortura o una punizione, posso amare anche quelle, ma è un amore diverso, difficile.
Non è a quelle corde che mi riferisco.
C’è un legare “altro”, che va oltre, che ha una sua magia, e io l’ ho provata, e mi ha ammaliato.
Ho provato, e provo, la magia dell’essere legata, dell’essere immobilizzata, dell’essere “tenuta stretta”.
Forse è una malia che si puo’ provare solo se chi lega sa trasmetterla, ed io ho avuto questa fortuna.
Chi ti lega “deve” amare le corde in un modo speciale.
Il suo amore, il mio amore, dare, ricevere, alchimia perfetta.
Sento le corde, le avverto sul mio corpo leggermente stringenti.
“Sento” la mia pelle in altro modo, sono consapevole dell’impedimento del movimento, lo percepisco sulla pelle, sui muscoli, sulle ossa.
Mi lascio andare a questa consapevolezza. Non posso piu’ muovermi, il movimento puo’ essere solo dentro di me, non fuori.
Il mio corpo è tenuto, è abbracciato, è con-tenuto.
La mia mente è tenuta.
Io sono tenuta.
Sono tenuta stretta fra braccia di corde.
Posso lasciarmi andare.
Sto bene.
Immobile, tenuta dalle corde.
Occhi chiusi , e poi una benda sugli occhi.
Lasciarsi andare alle sensazioni.
Benessere, rilassatezza.
Tristezza, sì a volte c’è della tristezza dentro di me.
Ci sono nodi dentro che faticano a sciogliersi, che fanno male, che fanno trattenere il respiro.
Ci sono nodi sulla pelle che tengono, che rassicurano, che abbracciano.
Avverto questa doppia sensazione, mi muovo dentro di me.
Sento questa tristezza, la vedo, ci entro dentro.
No, non ci entro dentro, è lei che viene in alto, che si fa guardare, che si fa sentire. Ed io posso guardarla, posso sentirla.
I miei occhi lacrimano, piangono. Calde lacrime, senza sosta, una dopo l’altra.
E’ la tristezza che esce, i miei nodi dentro sono sciolti, il respiro libero ed io sto bene.
Sono rimasti solo gli altri nodi, quelli delle corde sulla mia pelle, quelli che mi hanno tenuto.
Non posso essere slegata ora, lasciami ancora un po’ così, tenuta stretta.
Lasciami ancora questa magia.
Dafne

SCHIAVA E PUTTANA

Sono in piedi, Lui seduto su una sedia alla mia sinistra, sta consultando il
palmare.
Il suo amico sta parlando al telefono.
Sì, sono ancora qui.
Ho percorso ancora a passi veloci quella strada laterale, oltrepassato
ancora quel portone di legno scuro.
Con la camicia di jeans sbottonata, le tette fuori dal reggiseno.
Ho già vissuto questa scena, Lui sa quanto mi sia piaciuto essermi sentita
cosa Sua tanto da essere mostrata, esibita, ma oggi, davanti al portone di
legno scuro ho provato ancora ansia, un certo timore.
Ed eccitazione.
L’ho seguito di nuovo nell’ascensore, guardato il Suo dito premere 5°
piano, le mie mani hanno cercato il Suo cazzo duro sotto ai pantaloni.
Mi ha stretto i capezzoli già torturati a lungo, facendomi lamentare dal
dolore.
Le Sue labbra hanno impedito il mio lamento.
E siamo arrivati ancora davanti a quella porta.
Istintivamente mi sono allacciata la camicia, in un gesto di residuo pudore,
Lui mi ha guardato e l’ha sbottonata tutta.
E sono entrata così, con la camicia tutta aperta,le tette fuori dal
reggiseno.
Pronte all’uso, come piace a Lui.
L’amico ci ha accolto sulla soglia, Lui subito gli ha fatto notare come ero
“vestita”, poi ha preso in mano un seno e l’ha stretto.
Eccitazione e timore, ma anche una sorta di curiosità…e ansia e attesa.
E dentro di me una domanda: che succederà?
Lui può farmi quello che vuole.
Lui può farmi fare quello che vuole.
L’eccitazione sale a questo pensiero.
E sono qui, in piedi, consapevole della mia parziale nudità.
Aspetto, ma non so cosa.
Mi viene ordinato di sedermi, ed obbedisco.
Ecco che l’amico – ora so il suo nome, non è più solo un volto per me –
finisce la telefonata.
Si siedono ai miei lati, continuando un loro discorso non so quando
iniziato.
Lui mi prende il capezzolo del seno sinistro, è molto sensibile.
Invita il Suo amico a fare altrettanto, sull’altro seno.

25 APRILE

25 APRILE
“Pierre bestemmiò per la prima e ultima volta in vita sua. Si alzò intero e diede il segno della ritirata. Altri camions apparivano in serie dalla curva, ancora qualche colpo sperso di mortaio, i partigiani evacuavano la montagnola lenti e come intontiti, sordi agli urli di Pierre. Dalle case non sparavano più, tanto erano contenti e soddisfatti della liberazione. Johnny si alzò col fucile di Tartan ed il semiautomatico … Due mesi dopo la guerra era finita.”
Da Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, Einaudi

IL CULO, CHE MERAVIGLIA

IL CULO, CHE MERAVIGLIA
Il culo, che meraviglia.
E’ tutto un sorriso, non é mai tragico.
Non gli importa cosa c’é
sul davanti del corpo. Il culo si basta.
Esiste dell’altro? Chissà, forse i seni.
Mah! – sussurra il culo – quei marmocchi
ne hanno ancora di cose da imparare.
Il culo sono due lune gemelle
in tondo dondolio. Va da solo
con cadenza elegante, nel miracolo
d’essere due in uno, pienamente.
Il culo si diverte
per conto suo. E ama.
A letto si agita. Montagne
s’innalzano, scendono. Onde che battono
su una spiaggia infinita.
Eccolo che sorride il culo. E’ felice
nella carezza di essere e ondeggiare.
Sfere armoniose sul caos.
Il culo é il culo,
fuori misura.
( Carlos Drummond De Andrade )

DOLORE, PIACERE E GUSCI DI NOCE.

Una mattinata di giochi “rubati” al tempo.
Poi Hai detto passiamo da un mio amico, a bere qualcosa.
Le mie tette fuori dal reggiseno, il maglione con la cerniera a coprire appena appena.
Ti ho guardato e ti ho chiesto se potevo rimettermi in ordine.
Tu mi hai guardato, anzi mi hai scrutato, e mi hai detto che andavo benissimo così.
Un tuffo al cuore.
Farfalle nello stomaco.
Eccitazione.
Una strana accettazione, il pensiero “all’amico” che mi avrebbe vista così.
Una strada laterale, vecchi palazzi, un portone in legno massiccio, scuro.
Avverto un certo timore, un’ansia, nonostante la curiosità non oso guardare dove suoni.
Apri il portone, ti seguo col cuore in gola in un lungo corridoio in marmo, di lato un bellissimo giardino interno, erba curatissima, fiori, piante, acciottolato ed un pozzo al centro.
Sono stupita, non avrei mai pensato, da fuori, che quel vecchio portone di legno potesse celare questa meraviglia. Vorrei dirtelo, vorrei chiederti chi è l’amico, cosa fa, ma non dico nulla.
Ti seguo fino all’ascensore in un ingresso con marmi, tappeti, specchi, statue, ma qui i miei occhi vedono molto velocemente.
La mia mente è altrove.
“Passiamo da un mio amico”. Hai detto.
Ho le tette fuori dal reggiseno.
Entrerò così.
La cosa mi imbarazza .
La cosa mi eccita.
Di fronte all’ascensore esito un attimo quando Tu mi abbassi ancora di piu’ la cerniera del maglione…e se uscisse qualcuno?
Solo un attimo…poi una consapevolezza: in questo momento sono cosa Tua.
Tu puoi mostrarmi.
Tu puoi esibirmi.
Tu puoi fare di me quello che vuoi.

POESIA EROTICA

Carlos Drummond De Andrade
SENZA CHE LO CHIEDESSI, MI HAI FATTO LA GRAZIA
Senza che lo chiedessi, mi hai fatto la grazia
di magnificare il mio membro.
Senza che lo sperassi, sei caduta in ginocchio
in posizione pia.
Quello che è stato non è stato sepolto.
Per sempre e un giorno
il pene riceve la pietà osculante della tua bocca.
Oggi non ci sei né so dove sarai,
nell’impossibilità totale di un gesto o di un messaggio.
Non ti vedo non ti sento non ti stringo
ma la tua bocca è presente, adorante.
Adorante.
Non credevo d’avere tra le cosce un dio.
Adorante. Ecco, così io spesso mi sento, quando sono in ginocchio, col Suo perfetto fallo nella mia bocca o nella mia gola, mentre la Sua cinghia si abbatte sulla mia schiena : adorante, adorante di un dio.

MASTURBAZIONE AL TELEFONO

Mi preparo per la masturbazione.
Ne ho voglia, è dall’ultimo incontro in cui Lui mi ha torturato a lungo la figa che desidero masturbarmi.
Da allora l’ho sempre avvertita dolente e pulsante, pulsante di un desiderio che non potevo soddisfare proprio per il dolore che mi impediva di toccarmi.
Potevo solo sfiorarmi.
Ma ora è il momento.
Lui lo sa, Lui lo vuole, Lui me l’ha ordinato: ” Appena puoi ti masturberai”.
Sono già eccitata al solo pensiero.
Preparo tutto: mollette, vibratori anali e vaginali, plug, clamps dentate, lubrificante…e mentre preparo l’eccitazione sale.
Mi spoglio, e penso a quando Lui mi fa spogliare.
Ora sono nuda, mi sfioro i capezzoli, li premo dolcemente alla base, provocando un ‘immediato aumento dell’eccitazione.
So che Lui vuole il dolore, mi devo fare male, stringere come mi stringerebbero le Sue mani.
Stringo piu’ forte – mai come sa fare Lui – ecco, ora è arrivato il dolore.
Sono pronta.
Entro nella vasca da bagno, ho messo degli asciugamani per non sentire il freddo della vasca, mi metto comoda.
Gambe spalancate, sollevate e appoggiate ai bordi.
I miei giochini vari sul bordo, una sedia vicinissima.
La radio è accesa, la porta chiusa a doppia mandata.
Sono in casa sola ma non si sa mai… qualche rientro non previsto.
Preparo il telefono col Suo numero impostato, quando sarà il momento dovrò solo premere il pulsante per chiamare. Metto già l’auricolare.
Lo chiamerò mentre sto già godendo, in modo che senta subito i miei gemiti.
Mentre godo ma non ancora all’apice del piacere.

TORTURA AI GENITALI

Mi piace abbandonare i pensieri al loro corso, non imbrigliarli, lasciarli andare e seguirli come si segue una scia di fumo, spostata qua e là dal vento, senza una direzione prefissata, anzi forse senza neppure una direzione qualsiasi.
Come mi piace, a volte, lasciare andare le dita sulla tastiera, così, senza un argomento preciso, un po’ come vanno i pensieri.
Sono tutta un dolore sotto, alla figa, dolce Suo ricordo. Lì vanno i miei pensieri, all’incontro, al dolore.
Sono tutta un dolore ma sono anche tutta un desiderio, una eccitazione di fondo che mi fa desiderare toccarmi, stropicciarmi, masturbarmi.
Ma è tutto impossibile , il solo sfiorare il clitoride mi fa male, moltissimo.
Lo sento gonfio e dolente sotto agli slip, pulsa. I jeans lo irritano, il lavarmi ed asciugarmi è stato difficile.
Ho ben presente, per la sensazione dolorosa che provo, la mia anatomia genitale, la “sento” in ogni singola parte. Avverto distintamente e dolorosamente labbra, vagina, clitoride. Impossibile, in questo momento, non rendersi conto, dolorosamente ma anche piacevolmente di “averle”.
E i pensieri vanno all’incontro che mi ha regalato questo, un incontro ricco come sempre di tutto: paura, ansia, dolore, piacere, suppliche, lacrime, desiderio, gratitudine, riconoscenza…
Ma c’è stato qualcosa di “diverso”. La diversità, ancora una volta, era in me, nel mio essere, nel mio abbandonarmi al dolore, a quello piu’ difficile per me.
Ho sempre avuto paura, anzi terrore, della tortura ai genitali.
Non so neppure io perchè, forse non sopporto il dolore lì, forse la posizione mi fa sentire particolarmente indifesa, forse…forse…
C’è una grossa componente di irrazionalità in questa paura, la sento che monta altissima subito, che toglie il fiato, che annulla ogni parvenza di orgoglio e subito mi fa ritrarre, implorare, piangere, irrigidire.
E’ un timore fortissimo che mi ha sempre impedito di rilassarmi, che mi ha fatto provare dolore prima che le Sue mani mi toccassero, che mi ha tenuto, in un certo senso, distante.
I volti vicinissimi, il Suo sguardo nel mio, i Suoi occhi che mi incollano al Suo sguardo, al Suo desiderio e al Suo volere fino a che non diventano anche miei.
Cosa diceva Baricco in un suo libro?
” Ma d’uno sguardo per cui guardare già è una parola troppo forte.
Sguardo meraviglioso che è vedere senza chiedersi nulla, vedere e basta.
Qualcosa come due cose che si toccano – gli occhi e l’immagine- uno sguardo che non prende ma riceve,
nel silenzio più assoluto della mente, …
Ecco, il Suo sguardo nel mio:” qualcosa come 2 cose che si toccano” ed io certamente ricevo dal Suo sguardo.
Si toccano le 2 menti, si toccano i miei e i Suoi desideri, le mie e le Sue voglie, i nostri 2 cervelli.
“Qualcosa come 2 cose che si toccano” diceva il libro, ed ho chiara questa sensazione: qualcosa come 2 cose che si toccano e non sono i corpi. Non si toccano i corpi, non ancora.
Ricevo dal Suo sguardo forza, desiderio.
Ricevo.

HO BISOGNO

Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti….
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
ALDA MERINI