(la prima parte è stata pubblicata il 9 nov e la seconda il 13 nov)
Irene si chiamava e come aveva pronosticato Claudia, fu lei a farsi viva, tramite Pamela, che ci disse che quella signora così elegante era interessata ad averla sotto di se per educarla e che per lei non c’era alcun problema a mettergliela a disposizione a titolo definitivo. Ne fummo entusiasti. La chiamammo il giorno stesso e senza sapere minimamente a cosa stavamo andando incontro, ci recammo alla sua villa di Fregane. Ci accolse sul cancello con modi estremamente garbati e gentili e ci fece visitare l’intera proprietà. Indossava un completo di lino bianco molto elegante e pochissimo trucco. Il tono della voce sempre dolce era però chiaramente deciso e privo di esitazioni quando si rivolgeva a Claudia, quasi volesse stabilire da subito chi era la Maestra e chi l’allieva. Non ebbe alcuna esitazione nemmeno nel mostrarci la stanza di detenzione e gli strumenti di tortura, che sarebbero stati chiaramente usati su Claudia; c’era un tavolo di legno che si poteva rendere più o meno obliquo con dei legacci di cuoio agganciati a delle carrucole, catene pendevanodal soffitto, oltre a ceppi e gogne piantati un po’ d’ovunque e naturalmente fruste, cazzi finti, vibratori, manette, aspiratori per capezzoli, cunei anali…
“Normalmente non amo usare questo genere di cose su di una mia allieva … ma se le condizioni d’insegnamento lo rendono necessario …”
“Che cosa vuole insegnarmi?”
“Inizieremo dall’ABC, per primo il modo e la maniera di rivolgersi ad una vera Padrona … cosa che vedo non sei affatto abituata a fare … una Padrona è una Padrona in qualsiasi momento del giorno o della notte, che sia vestita in maniera consona o semplicemente abbigliata per andare a fare la spesa … capisci cosa voglio dire?”
“Si Signora … mi perdoni” disse Claudia abbassando la testa fino a guardarsi i piedi
“Lo vedi mia cara … non ci siamo affatto … a parte la formula che è essenzialmente sbagliata, anche l’approccio con cui ti sei così goffamente scusata … la testa non deve caderti dal collo, è più un abbassare lo sguardo, col mento che delicatamente si avvicina al petto, seguito da un doveroso inchino, con le mani che sfiorano la gonna per mostrare le scarpe col tacco alto, che al momento sono l’unica cosa che va nel tuo abbigliamento. “Signora … perdonate” disse con un tono remissivo e carico di devozione e ossequio, eseguendo i movimenti che pochi istanti prima aveva descritto con una naturalezza che rividi solo alcuni mesi dopo in Claudia.
“Questo è il modo corretto, non come ti sei presentata tu, con questi jeans degni di una squinzia quindicenne e la camicetta da maschietto che vuole ostentare una sicurezza che non ha. Una donna deve vestirsi da donna, anche se è una schiava … e schiava non ha nulla a che fare con puttanella, cosa che mi sei sembrata al nostro primo incontro, ma in te ho visto anche una determinazione non comune ad uscire dal bozzolo. Vuoi diventare una bravissima schiava, questo è chiaro, ma se non sarai seguita passo a passo nella tua trasformazione in farfalla, temo che ti potresti perdere per strada, dietro a tipi come quella sadica di Pamela. Devi essere plasmata, modificata, devi imparare la vera sottomissione, la nullificazione e rinascere senza più alcun limite, senza personalità ne dignità, non sarai più un essere soggettivo dotato d’intelletto ma una cosa come gli altri la definiscono e null’altro. Un vero oggetto di piacere, bellissima, da portare con se come un bene prezioso.
Irene accarezzò Claudia sulla guancia e lei contraccambiò baciandogliela e stringendola al volto, ma Lei gliela sottrasse con dolce alterigia, poi la prese per mano e ci condusse in salotto, davanti al caminetto acceso. La l’invitò a spogliarsi di tutto quello che riteneva non più adatto ad una iniziata del suo rango; Claudia, sempre tenendo gli occhi volti verso il basso, senza osare contemplare la sua Maestra, si denudò di ogni cosa, con semplicità e decoro, rinunciando perfino agli orecchini e depose ogni cosa ai piedi di Irene, comprese le scarpe che Lei aveva trovato adatte. Irene la contemplò da cima a fondo, sfiorando, carezzando, esaminando, visitando…
“Peccato non averti conosciuta quando prima, dovevi essere magnifica, un corpo freschissimo, anche ora, che hai lasciato a troppi la libertà d’usarlo sei ancora gradevole, e quando verrà finalmente il momento di gustarlo … allora mi apparterrai. Ora mia cara fai ciò che ritieni giusto, fai ciò che è più retto per una proselita del tuo rango, fai il primo passo verso ciò che sei sempre stata!”
Claudia lasciò cadere ogni cosa nel fuoco, fuorché le scarpe, con arrendevolezza, per poi inginocchiarsi ai piedi di Irene con ubbidienza, ricevendo in premio una carezza, a cui questa volta ebbe l’accortezza di non replicare, compiacendo non poco l’Istitutrice. Rimasi li a guardarle per un paio di minuti, ammirando quella donna così elegante che sfiorava quella ragazza così imperfetta, come se fosse un cagnolino bisognoso d’affetto, disposto a tutto pur di soddisfare la sua Padrona; poi le lasciai sole.
Nelle settimane successive Irene istruì Claudia su tutti quelli che sono i doveri, compiti e restrizioni della sua casta e non solo; le insegnò a camminare, parlare, mangiare, come rivolgersi alle persone comuni ed a Padroni e Padrone d’ogni tipo, come inginocchiarsi, come servire a tavola, come fare da dama o cagnolino da compagnia, da cameriera, da poni da trasporto o animale da soma e anche come consegnarsi nelle mani di quelli a cui sarebbe stata prestata, le insegnò a farsi esporre in pubblico ed in privato, nuda o vestita che fosse, in posizioni sconce o fini, ma sempre priva di vergogna, a farsi legare, appendere al muro o al soffitto, a farsi mettere alla gogna, a farsi frustare, dilatare l’ano e per tutte queste situazioni, dall’andare a teatro in sofisticati abiti d’alta moda o servire la sua padrona con la crestina e la gonna di pizzo, c’era una ben determinata procedura da seguire, un contegno da tenere, un modo di comportarsi, che doveva risultare irreprensibile.
Fu affascinante per me, quelle poche volte che fui ammesso alle lezioni, osservare Claudia mentre a quattro zampe, con un corpetto di pelle, morso in bocca, briglie, la sella e una plug anale con coda, trasportava in giro per la casa e il giardino Irene, che le rimproverava con garbo, ma soprattutto col frustino sulle natiche ormai non più bianche come un tempo, ogni incedere incerto, mugolio, lamento di dolore o piacere che fosse.
Le regalò numerosi vestiti estremamente eleganti ed estremamente costosi, ciò non di meno le fece acquistare una quantità di abiti sadomaso in pelle, latex, pizzo trasparentissimo, catene, manette, fruste, collari, cunei anali ed altre cosucce, riducendole ai minimi termini il già magro conto in banca.
Per ottenere la perfezione, Claudia subì numerose punizioni, da pochi schiaffi severi sul volto e sul culo a vere e proprie sessioni di frusta, ma anche dilatazioni anali abbastanza dolorose, a cui io partecipavo attivamente. Era estremamente divertente quel giocattolo di carne e roteava come una trottola ad ogni colpo di frusta ben assestato dalle mani esperte di Irene. La volta che ci divertimmo di più fu quando Claudia, inavvertitamente credo, ruppe un piatto del miglior servizio di Irene, mentre era intenta a lavarlo; in quell’ occasione venne legata ad una gogna fatta di tubi d’acciaio, a forma di T, con dei legacci di cuoio che le tenevano il busto bloccato e le gambe ben larghe per esporre il buco del culo. Era ripiegata su se stessa come un portafoglio chiuso, con le braccia chiuse insieme alle gambe e i capelli annodati ad un spago che finiva su di un peso da cinque chili ben tirato da farla soffrire costantemente; personalmente le riempii il culo e le cosce di cinghiate fino a segnarla pesantemente, mentre Irene riprese tutta la scena con una cinepresa digitale, tra le urla di dolore e le suppliche d’interrompere quel supplizio, pregando al sua Padrona di torturarla essa stessa. Claudia semplicemente voleva che fosse Irene a straziarla e non io; mal sopportava essere martirizzata da un uomo. Da me o da altri, come scoprii più avanti, non desiderava più nemmeno semplicemente farsi scopare; questa cosa diede da pensare ad Irene che decise in quel momento credo, che fosse arrivata l’ora ripassare ad un livello superiore per poter ovviare a questo limite della sua allieva.
Spesso Claudia si recava da Irene da sola, ma in una occasione particolare, quando ebbero il loro primo rapporto, ero presente, anche se venni lasciato in salotto. Potevo sentire distintamente le grida di piacere della mia ragazza che aveva orgasmi a raffica, mentre Irene non proferiva parola; questa sua grave disattenzione venne punita con estrema severità, tanto che non poté poi servire nessuno per alcune settimane. Imparò così a far godere la sua effettiva proprietaria, senza gemere o appagare i sensi per se stessa, senza comunque rimanere estranea alla cosa.
Dopo alcuni mesi di questa vita venne finalmente il momento di presentare Claudia alla buona società Sadomaso; Irene mi fece l’onere di aiutarla nella preparazione di quella sera.
Della mia ormai ex ragazza montammo al computer un filmato che comprendeva tutte le fasi della sua trasformazione da donna in schiava, con numerose scene di tormento morale e fisico, umiliazioni ed educazione alla disciplina, oltre a mostrarla in abiti cortissimi ma eleganti, ed un espressione dipinta in volto d’estremo contegno ed umiltà. Non mancavano certo le immagini sadomaso, i nudi, le pose oscene con tutti buchi esposti, i particolari dei segni lasciati dalle varie fruste usate su di lei.
Irene aveva convocato alcuni suoi colleghi padroni, singoli ma anche a coppie, che si presentarono tutti vestiti in modi estremamente raffinati, con auto, gioielli e orologi che saranno costati come trenta anni del mio stipendio; voleva mostrargli la sua ultima opera e non solo. Fu Lei ad accoglierli al loro arrivo affiancata da Claudia che si inchinava ad ogni nuovo ospite, sfiorando la mano di chi gliela offriva; come era cambiata quella ragazza un po’ volgare e puttanella, era diventata una vera principessa del gesto aggraziato, una schiava devota.
Claudia indossava un abito blu scuro, leggermente tendente al rosso, leggermente scollato sul davanti e chiusissimo dietro da una lunga serie di bottoni rosso scarlatto, sandali neri con un tacco di almeno 15 cm ed una cinta bordeaux vistosamente larga.
Irene era vestita di nero dalla testa ai piedi, con un abito semplice che la fasciava delicatamente e scarpe basse.
Anche io mi ero tirato in ghingheri indossando la mia unica cravatta.
Dopo le dovute presentazioni e scambi d’opinione sulla bellezza dell’ultima opera d’Irene, ci fu un breve aperitivo con chiacchiere e amenità di vario genere; più che altro si parlò di mondanità e posti molto chic che ne io ne Claudia avevamo mai visto. Ma se per me era motivo d’imbarazzo non poter rispondere a tali argomenti, lei invece riusciva sempre a dimostrasi all’altezza, anche solo celando la sua ignoranza in materia con un “spero di poter ammirare presto simili meraviglie”.
Poi venne servita la cena; Claudia servì in tavola, quasi completamente nuda. Indossava solo la crestina, un collarino di cuoio con un anello d’oro all’estremità, un gonnellino di pizzo col fiocco sul culo, pieno dei segni del frustino da cavallerizza di Irene, bollo inequivocabile del suo stato di schiavitù e che non le copriva nemmeno un pelo della fica e stivali di latex nero che le arrivavano al ginocchio e dal tacco vertiginoso, tanto che, anche considerando l’allenamento, ne risultava invalidata nei movimenti; non ebbe comunque problemi ad espletare le sue mansioni.
La cena fu lunghissima, almeno tre ore e fra una portata e l’altra Claudia rimaneva immobile, in disparte, attendendo ordini da chiunque fosse presente che si limitarono a richieste d’acqua o vino; certo non mancavano i commenti anche osceni da parte di quella gente, a cui lei non rispose che con un timidissimo sorriso di abnegazione. Sapeva benissimo d’essere stata messa in mostra quella sera per compiacere Irene e ne era felicissima, non solo per La Sua Padrona, che lei adorava e venerava, ma anche per se stessa, per dimostrare a tutti che era in grado di cambiare, non in meglio o in peggio, come le veniva ordinato. Solo uno dei partecipanti sollevò delle obiezioni su come fosse stata addestrata questa schiava, il più anziano di tutto il gruppo; il “Professore” lo chiamavano e non mise in dubbio la devozione o l’educazione di Claudia, ma il suo totale annullamento della personalità. Le era sembrata ancora troppo sulle sue, ancora non del tutto consapevole del suo stato di schiava, di nullità e quindi incompiutamente di proprietà di Irene, che aveva comunque fatto un ottimo lavoro, ma l’aveva punita visibilmente troppo poco, e con poca severità, non riuscendo quindi a cancellarne interamente la personalità.
“Se la pensi così caro amico … non posso far altro che invitarti ad approfittarne anche ora, nella più completa libertà … e se la sua risposta non sarà adeguata … allora puoi anche prenderla con te per completarne l’educazione” disse Irene con la più assoluta serenità
Claudia era palesemente perplessa; le possibilità di essere ceduta in prestito o a titolo definitivo le erano state più volte palesate, evidentemente pesava che quelle condizioni non si sarebbero mai realizzate. Irene, notando con disappunto che la sua nuova schiava già la deludeva, e che nel recente passato aveva reagito così maldestramente ad una punizione eseguita da me e non da Lei, la offrì senza esitazioni al Professore, prendendola per i polsi e denudandola di quelle poche cose che aveva indosso, per farla poi inginocchiare al suo cospetto.
“Ecco il tuo nuovo Padrone … farà di te ciò che vorrà e tu lo esaudirai senza timore”
“Signora … perdonate l’esitazione che poco fa mi ha trattenuta … sono cosa vostra … vi appartengo … usatemi e prestatemi come credete”
“Ora sei sua … a Lui dovrai obbedire …”
“E io ti dimostrerò che ti sei sbagliata” la interruppe il Professore “portala da me sabato prossimo, nella prima mattinata alla mia tenuta di Gubbio, così cominciamo presto la caccia … siete tutti invitati … anche lei giovanotto”
La cena ebbe termine in quello stesso momento; Claudia non osava spostarsi da come era stata lasciata. Venni invitato a rimanere per la notte; accettai sapendo cosa avrebbero udito le mie orecchie e per tutta la durata delle tenebre ascoltai dalla camera degli ospiti i loro orgasmi multipli, le frustate di Irene, le parole supplichevoli di Claudia che la imploravano di farle ancora più male, d’impalarla, ma di tenerla per se. Per tutta la settimana Claudia rimase a dormire da Irene, quasi le si volesse dare consolazione per ciò che le stava per accadere. Quando tornava a casa mi raccontava ogni cosa; il sapore dei Suoi baci e non solo, le carezze che solo una donna può regalare ad un’altra donna, sapendo bene cosa e come andare a sfiorare con dita e lingua, le penetrazione con l’intera mano sia in fica che nel culo, su come fosse stata usata anche come wc e non le fossero state lesinate frustate ed umiliazioni anche pubbliche. Irene le aveva ordinato di restare nuda in giardino per ore a prendere il sole, a stendere e ritirare i panni, ad annaffiare le piante tutto sotto gli occhi famelici dei vicini, ad aprire al postino, ricevendolo poi in casa per offrirgli un caffè con Irene che la rimproverava per la poca solerzia. Con due elettricisti era stata anche così gentile, dopo indicazione d’Irene, a fare sesso orale con entrambe, godendo di quell’umiliazione in modo esagerato, mentre glielo spingevano dentro, venendogli poi a turno in bocca e lei aveva ingoiato tutto senza fiatare. Quella era la parte che le era piaciuta meno, ma faceva piacere ad Irene vederla piegata al suo volere e lei godeva nel vedere felice e soddisfatta La Sua Padrona.
Claudia (terza parte) by Spyke – RACCONTI dei LETTORI
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