Offerta di correzioni disciplinari: il mio approccio (1) – quadro generale

 Punto primo: idee chiare – L’iconografia dell’offerta – Psicologia 90%, tecnica 10% – Rimandi: procedure e rituali, sistemi di regole e controllo 

Esaminando il lato della “domanda”, ci siamo sforzati di illustrare cosa richiedono gli aspiranti corrigendi: l’aspetto più importante risulta essere la credibilità dell’educatore-istitutore.
Benché sia certamente possibile essere credibili anche senza aderire interiormente a ciò che si sta rappresentando (si pensi a un attore che interpreta un personaggio che cartterialmente non gli somiglia), in un ambito non professionale è senz’altro di grande aiuto che l’educatore sia ben convinto di ciò che fa.
“Essere convinto” significa trovarsi totalmente a proprio agio nella parte, perché questa corrisponde in larga misura ai propri veri desideri. Un po’ come si dice a teatro: se vuoi fare Napoleone, in quel momento devi essere Napoleone.
E’ quindi oltremodo necessario che prima di proporre qualunque tipo di offerta l’aspirante educatore (eh, sì: anche gli educatori sono prima degli aspiranti – e lasciatemi fare una battuta – in molti casi non superano mai questo stadio) si analizzi per bene: mi piace davvero giudicare e correggere, o tutto quello che in realtà voglio è un culo disponibile da frustare?
Quando il futuro educatore si è chiarito con sé stesso, può scegliere. L’incontro tra domanda e offerta è sempre tra due teste pensanti. È ben raro che attraverso pochi e rapidi accordi presi via mail si abbia la fortuna di trovare immediatamente chi mostra esatta complementarietà con i nostri gusti più autentici. Scegliere, dicevo: l’educatore può 1) cercare solo chi è perfetto per lui; 2) chiedere all’aspirante corrigendo di adattarsi; 3) adattarsi lui stesso ai desiderata del corrigendo.
In genere, in pratica si verifica che un’approfondita conoscenza virtuale richiede reciproci adattamenti: sta a ciascuna delle parti verificare ciò che è accettabile o meno nella modifica delle istanze originarie. La pratica, poi, limerà ulteriormente le dissonanze.
Sempre l’esperienza mi ha mostrato che, se l’educatore è credibile, il corrigendo in genere si adatta abbastanza elasticamente, ma un educatore non può in ogni caso plasmare un corrigendo come gli pare, perché la psicologia di quest’ultimo non à mai meno che assai complessa.
Così, quando mi capita di leggere i non molti annunci di offerta di correzione nella sezione Men2Men, in molti casi mi viene da sorridere, perché ho la sensazione che il master di turno, in preda a una specie di delirio onirico, scriva più per sé stesso che per quelli cui vorrebbe rivolgersi. È vero che egli deve sapere quello che vuole, ma deve anche tener conto delle particolari esigenze di una nicchia di settore in cui il sub denuda la propria anima prima ancora del culo, perché la situazione richiede proprio che confessi apertamente le proprie debolezze, sottoponendosi al giudizio (sempre negativo, per definizione) di un perfetto sconosciuto.
In sintesi: l’offerta di correzione va calibrata attentamente sugli aspetti psicologici più sottili che sono sempre presenti dal lato della domanda.
L’educatore-istitutore deve saper interpretare i perché profondi dell’aspirante corrigendo – che non sono mai superficiali, come invece può avvenire in altri teatrini (“frustami, punto e basta”) – e deve anche saper costruire un contesto che permetta all’allievo di sentirsi nel posto giusto e alla presenza della persona giusta.
Dicendo ciò, sto ovviamente già parlando di me e del mio modo di avvicinarmi al tema.
In questo articolo non ho la pretesa di dettare regole assolute, ma solo di illustrare il mio punto di vista.
Prima di propormi come educatore/punitore ho quindi dovuto chiedermi se e quanto la cosa facesse per me, anzi, se rispondesse ai miei desideri più di ogni altra forma di dominazione.
A me piace giudicare, imporre regole, punire i trasgressori. Mi piace interrogare, deplorare i comportamenti viziosi, analizzare le mancanze nei minimi particolari, umiliare verbalmente.
In ciò sono pedante e pignolo sino all’esasperazione: nelle mail non faccio passare neanche un errore grammaticale o un apostrofo sbagliato (molti allievi-somari scrivono: un’apostrofo).
A quanto pare, la mia pedanteria risulta gradita agli allievi corrigendi. Il mio puntuale e specifico indagare sulle loro colpe è quel che vogliono. Le mie modalità di stabilire la gravità delle loro mancanze è quel che richiedono.
Essi – i somari – mi reputano credibile perché sentono che io sono così. Quando ho davanti un corrigendo, non faccio l’educatore: lo sono.
Da quanto dico si dovrebbe capire perché scarto nove aspiranti su dieci: tutti quelli non ben motivati, non realmente interessati a ricevere correzione ma che si accontenterebbero di essere legati da qualche parte e frustati, non fanno per me.
Sono molto “specializzato”, perché ho le idee chiare su quello che mi interessa e intendo proporre. Quindi in un aspirante allievo pretendo altrettanta chiarezza con sé stesso.
Per configurare il mio tipo di offerta ho utilizzato in parte come modello un riferimento iconografico piuttosto preciso: quello dei college inglesi, dove il preside o l’insegnante è alle prese con colpevoli (maschi o femmine) in attesa di ricevere il cane. Di tale ambientazione, ampiamente rappresentata dall’industria sm di ogni epoca, cerco di cogliere l’atmosfera, l’abbigliamento, l’uso di strumenti correzionali specifici.
Non mi presento in mutande e canottiera, in cucina, con un battipanni di plastica in mano. Il corrigendo “ha diritto” a un istitutore in giacca e cravatta, che riceva in uno studio possibilmente odoroso di libri e di scaffali di mogano e che maneggi una canna o bacchetta di legno.
Per il ruolo che rivesto, ritengo mio dovere sapermi esprimere in un italiano più che corretto, sapermi muovere e agire con sicurezza e autorità, essere a mio agio e padrone dell’azione, sapendo in ogni momento cosa fare: quando, quanto e come. Procedure, rituali, priorità logiche e operative. C’è un tempo e un modo per ogni cosa: la convocazione, la presentazione, la confessione, la reprimenda, il cornertime
Il mio modo è quindi mediato dall’iconografia tradizionale, anche nei particolari. E non si tratta di una sovra-imposizione alla mia natura: è perfetto per me.
Quel che mantengo sempre, anch’essa di derivazione dall’iconografia college, è l’atmosfera di completo distacco, freddezza nei modi, assoluta gerarchizzazione relazionale. Non sono brutale, ma glaciale. Enuncio le colpe del corrigendo a voce bassa e quando – come sempre si merita – lo apostrofo come “puzzolente maiale”, nella mia voce non c’è mai più di una sottile sfumatura di sarcastica derisione. Credo – come diceva Manzoni nei Promessi Sposi – che l’autorevolezza si imponga attraverso canali molto diversi e più sofisticati che l’autoritarismo.
Attenzione, però. Ho detto che mi avvalgo di un riferimento, non che lo copio pedissequamente. Diciamo pure che della rappresentazione dei college inglesi che si fa nelle illustrazioni sm traggo spunto e ispirazione, ma poi basta. Il “contesto college” è troppo limitato, sia per le mie preferenze che per il tipo di domanda che ricevo.
Ci sono importanti differenze tra un aspirante allievo e lo studente, “vittima” del preside severo. Probabilmente la più importante tra esse è che chi risponde ai miei annunci non è passivo come lo sfortunato pupil: ha scelto di propria iniziativa, attivamente, di contattarmi, ha un ben definito senso di colpa, è lui a cercare correzione. È quasi sempre disposto a pratiche di umiliazione fisica e verbale che nelle aule scolastiche non sarebbero pensabili.
Sono perciò attrezzato in modo più articolato di un insegnante che si affida solo al suo cane. Prevedo tecniche che, pur non avendo concettualmente nulla a che fare con l’idea di una dominazione padrone-schiavo, spesso vi somigliano. Non ho mai visto un preside in toga e tocco fare un clistere; io invece ho due set da enteroclisma. Non ho mai visto un insegnante tirare fuori dalla cartella un collare di cuoio; io ne ho diversi, compresi di guinzaglio. Spesso il cornetime che impongo prima della battitura prevede che l’allievo, a quattro zampe faccia al muro, esperimenti la rigida occupazione di un plug anale.
Vi sono poi casi in cui, per la gravità delle colpe, la School Discipline dev’essere necessariamente sostituita da un Judicial Punishment. Ecco quindi che il mio corrigendo si trova legato mani e piedi a un cavalletto di fustigazione, che è senz’altro più da working house che da college.
É finita? No: per allestire un’offerta convincente tutto l’ambaradan logistico e di connessi orpelli non basta: è indispensabile, ma non sufficiente.
Il lato più delicato, più sottile, diciamo pure più interessante è quello psicologico. L’educatore deve saper ricreare nell’allievo corrigendo un modo di sentirsi.
Fate caso alle copertine delle riviste anni ’70 (Janus, Blushes, Februs, Sting, Phoenix, Swish, Rouè, Justice….) e date anche un’occhiata all’interno: si picchia pochissimo, i segni quasi non si vedono ma…. l’atmosfera! Gli anglosassoni sapevano che il segreto di tutto sta nell’aspettativa, nell’attesa, nello stato di disagio psicofisico, nella vergogna.
A mio parere, sono molto più eccitanti alcune vecchie copertine di Janus, in cui si vede solo il viso di una ragazza che sa che l’aspetta la bacchetta, che molte foto moderne di culi segnati fin quasi all’osso.
Il giovane che si sente colpevole e che cerca un educatore che lo corregga, vuole sentirsi angosciato, in ansia, in attesa, sulle spine: come nei film dell’orrore, l’attesa della comparsa del mostro è più spaventosa del mostro stesso.
Sono quasi portato a credere che le mie sessioni correzionali si svolgano più sull’autobus che sta conducendo l’allievo nel mio studio, piuttosto che una volta che esso si trovi a culo all’aria.
Naturalmente ciò non significa che io non picchi sodo, anzi. Ho “perso” non so quanti aspiranti allievi, cha ai primi contatti mi chiedevano se per piacere potevo avere un occhio di riguardo per il loro culi inesperti: ridicolo.
Picchio come si deve per molti e validi motivi. Primo, un colpevole va punito severamente, specialmente se le botte devono avere anche un valore correttivo. Secondo, molti allievi sono così “elementari” che l’unica cosa che capiscono con certezza è la frusta. Terzo, vederli saltare e sentirli urlare e piangere mi dà soddisfazione: quindi più forte picchio, più mi diverto.
Per tornare alla faccenda dell’autobus, è sommamente ovvio che il corrigendo può provare la giusta dose di ansia e angoscia solo se sa che sarà battuto di santa ragione.
Quel che intendo, insomma, è che il valore dell’attesa si può manifestare solo se l’allievo ha effettivamente paura di quel che gli succederà, e questo può avvenire solo se ha ricordi dolorosi e vergognosi delle sessioni precedenti.
Per fornire un quadro più preciso della mia personale visione di un’adeguata offerta di correzione, restano tre argomenti di cui ritengo ancora utile parlare.
Poiché non voglio scrivere un articolo troppo lungo, ne riservo lo sviluppo a puntate successive di questa trattazione, limitandomi per ora a farne solo un accenno.
Il primo argomento, che spesso mi viene richiesto dagli aspiranti allievi come specificazione dei miei annunci nella sezione Men2Men, riguarda lo svolgimento delle sessioni. Cioè quello che faccio in pratica, compresi gli strumenti correzionali che utilizzo. Benché del tema abbia già fatto cenno nei post in cui descrivo alcune sessioni effettuate, in un prossimo articolo sarò più sistematico ed esaustivo, sforzandomi di illustrare soprattutto i miei perché.
Gli altri due argomenti che mi riservo di trattare in futuro hanno entrambi a che fare con la continuità del piano correzionale.
Un aspirante allievo si candida in base a quelle che percepisce come proprie mancanze. Se lo accolgo, è logico che mi occupi innanzitutto di queste. Ma – in realtà – un allievo non vuole solo questo (me lo ha ampiamente dimostrato l’esperienza). Posso persino azzardare a dire che le motivazioni originarie dell’allievo costituiscono solo un pretesto che esso usa per essere sottoposto a un sistema di regole molto più ampio. L’allievo che mi contatta confessando di passare il tempo a farsi seghe non vuole mai che io mi interessi solo a questo problema. In realtà, quasi sempre sta chiedendo un sistema di regole generali, stabilite da me, alle quale uniformarsi.
Parlerò quindi, prossimamente, della domanda vera da parte degli allievi, in contrapposizione (o integrazione) a quella originariamente espressa nella loro prima ricerca di contatto e di come – in quanto “offerente” – io la interpreti e soddisfi.
L’uniformarsi alle regole dell’educatore è strettamente correlato ad un secondo, importante argomento: il controllo.
A dire tutta la verità, il tema del controllo non è richiesto da tutti gli allievi, ma da una buona metà sì. In particolare, da quelli più giovani (sempre nella fascia di età che ho stabilito come di mio interesse). Se alcuni corrigendi si accontentano di concordare incontri periodici nei quali essere interrogati e puniti per le loro mancanze, e negli intervalli tra le sessioni non ci si sente neanche per email, altri preferiscono sentire sempre la “presenza” dell’educatore. Richiedono cioè di essere controllati, anche su base giornaliera. Sono proprio questi coloro che accettano con maggiore entusiasmo il sistema di regole, perché permette di controllarli su più piani e coglierli più spesso in fallo.
Un educatore che sin dall’inizio desideri mantenere rapporti continuativi con il gruppo di allievi che ha selezionato e che – insomma – agisca in base a piani educativi anziché singole sessioni correzionali isolate, deve prevedere un sistema di regole e forme di controllo per esse. Altrimenti si rischia una stucchevole ripetitività negli incontri.
Regole e controllo meritano una trattazione a parte, perché sottendono aspetti motivazionali, psicologici, relazionali e organizzativi non banali.
Per ora mi fermo qui, riassumendo i punti salienti: l’offerta di correzione (almeno, la mia) è molto più specifica di una generica offerta di dominazione, perché coinvolge aspetti delicati della psicologia di chi si propone come corrigendo. Fa infatti leva sulle sue debolezze – autentiche o funzionali – e quindi penetra più a fondo nelle sue inadeguatezze, contraddizioni, vizi. Un educatore deve comprendere bene che un allievo che si denuda per la frusta sta riponendo un alto grado di fiducia nei confronti del suo punitore. Esso (l’allievo) quindi “merita” la totale credibilità e coerenza di quest’ultimo. E’ quindi bene che questi abbia innanzitutto idee chiarissime su sé stesso: le proprie motivazioni, gusti, padronanza delle situazioni e tecniche. Un master si può improvvisare, un istitutore no. Atmosfera, abbigliamento, logistica assumono grande rilievo, ma la parte più importante è – come sempre – psicologica: un buon educatore sa ricreare un clima di ansiosa attesa e angosciosa aspettativa nel corrigendo, il che per me è il 90% dell’intera storia. È bene che un educatore ragioni in termini di continuità, cioè di un piano educativo/correzionale a lungo termine e non di isolate sessioni punitive che – ripetendosi sempre uguali – ben presto annoiano. Nel fare ciò, deve sempre e comunque interpretare la domanda vera di correzione, che spesso non si esprime esplicitamente, bensì sta tra le pieghe di quel che il corrigendo dice di volere/necessitare. Non si tratta assolutamente di manipolare l’allievo, ma di capirne le motivazioni profonde.
Concludendo: l’offerta di correzione può essere proposta da tutti? A mio sincero – e forse presuntuoso – avviso, no. Come in tutte le cose, serve la giusta dose di intelligenza, sensibilità, attenzione, conoscenza di sé stessi e – perché no? – predisposizione.
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