Offerta di correzioni disciplinari: il mio approccio (2) – rituali e procedure (2)

 

La correzione corporale come clou della sessione – Strumenti e posture.
Nello descrivere i rituali e le procedure che adotto in una sessione, siamo giunti al cuore della faccenda, cioè alla correzione corporale. Credo che per ognuno di noi, dom o sub, esista una sintetizzazione simbolica di ciò che intendiamo per sm.
Nel mio caso, da quando ero un ragazzino, è una canna/bacchetta/frusta che si abbatte su un culo nudo, indifeso e ben offerto (nelle mie fantasie di ragazzo e nella maggioranza della mia esperienza pratica, femminile). Tutto ciò che ho elaborato negli anni e che via via è andato ad arricchire il quadro parte – per me – da questa immagine.
Sto dicendo che, benché io attribuisca molta importanza agli aspetti “collaterali” (confessione, umiliazioni, cornertime, etc.), per me una sessione che non comprenda la battitura di un culo nudo è incompleta e insoddisfacente.
Ecco quindi che ogni volta che saggio la sferza che tengo in mano mi viene da pensare ‘è qui che volevo arrivare’.
Ho fatto questa premessa per far capire a chi mi legge che anche un educatore ha le sue preferenze, i suoi feticci, le sue ragioni per l’azione. Un bel culo sodo e carnoso, ben proteso e in attesa del morso della mia sferza, giustifica di per sé la scrittura dell’annuncio, il lungo processo di scrematura e selezione degli aspiranti allievi, l’incontro preliminare, l’allestimento ragionato (e, spero, ragionevole) delle mie sessioni. Credo che tutto ciò sia importante anche per l’allievo, perché lo aiuta a riconoscere me nelle mie motivazioni (tra le alternative sgradevoli: che io sia uno psicopatico killer seriale) e perché, benché la cosa sia per lui dolorosa, sa cosa lo aspetta. Una canzone deve avere una melodia, un romanzo deve avere un clou, una tesi deve avere una dimostrazione. L’allievo che non sia d’accordo con la mia “interpretazione” della sessione, in cui la frusta diventa protagonista, può rivolgersi ad altri. D’altro canto, chi desideri proprio una correzione corporale tradizionale, senza sconti e fingimenti, si trova in sintonia con ciò che allestisco.

 

 

Non voglio tediare i miei lettori con il riassunto di quasi 50 anni di riflessioni personali e non necessariamente interessanti per tutti, per cui mi limito a dire che relativamente alla fase della correzione corporale bado particolarmente a tre aspetti: la totale sottomissione psicologica del corrigendo, la sua postura, la scelta dello strumento correzionale. Come spiegherò, sono tre aspetti legati l’uno all’altro.
La prima cosa da dire è che ogni corrigendo può avere – e in genere ha – “preferenza” per uno strumento piuttosto che un altro (anche l’allievo può avere dei feticci, no?). Non è detto che quello che predilige sia il più o il meno doloroso, bensì quello per lui più evocativo. In sessioni “all’inglese” di solito ci si trova d’accordo sulla canna di bambù (che piace molto anche a me).
La canna presenta molti vantaggi: è facile da reperire (Leroy Merlin), costa pochissimo, può essere scelta di diversi spessori, lascia dei segni che io trovo esteticamente molto gradevoli (netti, in cui ogni colpo è riconoscibile dagli altri) e, naturalmente, appartiene di diritto all’iconografia disciplinare più tradizionale e consolidata. La canna fa più male sulle terga rilassate, cioè con il corrigendo in piedi o piegato in avanti, ma qui interviene il mio gusto personale, che richiede invece che il culo che batto sia ben sporto in fuori, il che tipicamente si ottiene nella posizione “a 4 zampe” o in ginocchio.
Il retaggio di un culo di cui si veda bene la curva delle natiche e che inoltre esponga vergognosamente il buco, mi deriva dal mio amore per il lato B femminile, che da lì ho mediato anche nei confronti dei miei allievi maschi. Insomma: maschile o femminile, il culo si deve mostrare come piace a me.
Nelle situazioni che descrivo, cioè di disciplina su maschi, è anche probabile che una posizione così aperta causi maggiore imbarazzo e vergogna all’allievo, fatto del quale non posso che compiacermi. È proprio per ragioni di vergogna che per la punizione corporale di solito faccio spogliare completamente l’infelice: dev’essere nudo come un verme.
Come ho detto in un articolo precedente, ho cura che la sua postura sia comoda; non voglio che un disagio fisico distolga la sua attenzione da dove la deve tenere: la sua nudità, il senso di angosciosa attesa, il bruciore di ogni frustata.
Uso quindi cuscini per le ginocchia e, se è il caso, anche per il viso (a volte è opportuno che il corrigendo possa soffocare le urla di dolore: non vorrei dover interrompere una sessione perché mi suonano alla porta i vicini o i carabinieri).
Se queste due (a 4 zampe o in ginocchio) sono le posture classiche per la canna di bambù, dalle quali tendo a non deviare di mia iniziativa, altri strumenti possono comportare posture diverse. Ma perché usare altri strumenti?
In parte l’ho già detto: per un’eventuale preferenza dell’allievo. Ma ci possono essere anche altre ragioni. Ad esempio, una battitura preliminare o comunque differenziata rispetto a quella “principale”.
Mi è accaduto a volte di procedere, nella medesima sessione, a correzioni di mancanze di diversa natura (per esempio, la mancanza principale era la frequentazione di siti porno, una accessoria un errore di digitazione nella mail (il nome dell’allievo scritto in maiuscolo, la mancanza della sua firma, il non essersi rivolto a me col dovuto “Signore”…). In questi casi, posso usare prima la cinghia e poi la canna. Tendo a differenziare le posture in base agli strumenti, principalmente per dare una specificità ad ogni singola situazione.

Per la cinghia, voglio l’allievo a 90° o disteso.
Per la paletta di legno (assai dolorosa, per alcuni), lo obbligo a stare in ginocchio sul letto o sul divano, ma col culo più rilassato (fa più male): in questo caso picchio da seduto, accanto a lui, qualche volta cingendogli la vita con il mio braccio sinistro.
Da qualche tempo ho iniziato a usare anche uno scudiscio per cani. Corto (60 cm circa), lo scudiscio ha il grande vantaggio di poter essere impiegato sia per pizzicare (facendo calare sul culo solo la punta) che per mordere in profondità (con la sezione media, più spessa). In più, può essere “trascinato” lungo la pelle nella fase finale del colpo, producendo dolore aggiuntivo e segni più marcati, di tipo abrasivo. Per evitare sovrapposizioni rispetto alla canna, lo adopero sull’allievo a 90° o disteso, ma più spesso in piedi, appoggiato al muro o legato con le mani sopra la testa. Lo scudiscio è uno strumento estremamente evocativo, che richiama scene da “Ammutinamento del Bounty” (so benissimo che lì agivano invece i gatti a 9 code, eh!) o comunque da judicial punishment: è un attrezzo “forte”, adatto ad allievi con buona resistenza al dolore e un masochismo più pronunciato della media.
Il principale svantaggio dello scudiscio è che, essendo flessibile, bisogna saperlo usare bene per indirizzarlo dove si vuole colpire, evitando le reni o altre zone delicate. Insomma, serve una certa esperienza. Un altro suo svantaggio minore è che fa poco rumore (almeno, il mio), sia in aria che nell’impatto, laddove invece la cinghia e la paletta di legno risuonano con dei magnifici sciack! e la canna fischia deliziosamente fendendo l’aria. Anche l’orecchio vuole la sua parte.
Un’altra alternativa è il frustino per cavalli, che però non amo particolarmente, perché non lo associo alle atmosfere che intendo ricreare (svolgo le sessioni in uno studio, non in una stalla). Il frustino ha dei pregi e dei difetti. Oltre a essere incongruo rispetto all’ambiente in cui applico la correzione, non è sufficientemente doloroso, perché la parte che impatta le terga è solo il rettangolino di cuoio, di modesto peso specifico. Per contro è molto preciso (come la paletta e più della canna) e permette di colpire esattamente dove si vuole.
Ammetto di avere due frustini per cavalli, a uno dei quali ho rimosso l’estremità in cuoio. Ciò mi permette di colpire con il pieno, e l’anima di metallo garantisce dei morsi davvero profondi e dolorosi: lo riservo solo ad allievi estremamente resistenti al dolore e in casi di mancanze gravissime.
Mi capita anche, all’inizio della sessione e soprattutto con allievi nuovi, di adoperare la semplice mano, nella classica posizione otk. La sculacciata a mano non la annovero tra le correzioni corporali, ma piuttosto tra le pratiche che servono a chiarire immediatamente la netta distinzione di ruolo, creando quella distanza tra me e l’allievo che ritengo indispensabile. Ne consegue quindi che il giovane zozzone che mi sono fatto accomodare sulle ginocchia per fargli il culo rosso non può assolutamente sperare di essersela cavata solo così.
Evito il battipanni: rumoroso ma impreciso e più da massaia arrabbiata che da educatore.
Non uso alcunché non sia naturale (legno, cuoio, mano): oggetti di plastica o metallo non mi sembrano degni né di me né del corrigendo.

Nella prossima (e ultima) parte dedicata ai miei rituali e procedure ci occuperemo della legatura e bendatura e del ritmo e conteggio delle frustate.

 

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