DOMANDA di correzione

Le motivazioni originarie di un corrigendo – Aspetti sessuali diretti e mediati – Il senso di colpa come motore – Il bisogno di regole e sanzioni – Il “confronto” come tema psicologico nel caso uomo/uomo – La credibilità dell’educatore

Nell’ambito degli incontri a scopo correzionale di maschi – che è quello di cui mi interesso – è più che lecito chiedersi quali motivazioni in origine muovano l’aspirante corrigendo e cosa egli poi desideri all’atto pratico.
Come ho già detto altrove, una sessione correzionale si focalizza sulla punizione di colpe, mentre l’aspetto direttamente sessuale in genere è in secondo piano. Non dirò che esso sia assente: per parte mia non credo che sesso e bdsm possano essere in alcun modo slegati, perché a mio avviso il bdsm (in generale) è una declinazione della sessualità di una persona. Qui però mi riferisco ad attività sessuali esplicite, che appunto in una sessione correzionale in genere non sono previste.
Nonostante questa caratterizzazione “tradizionale”, in pratica ho riscontrato che tra circa 200 manifestazioni d’interesse più di metà degli aspiranti corrigendi richiede la sessione in funzione di un incontro anche sessuale. In merito c’è chi è assolutamente esplicito, con tanto di richieste di prestazioni di un tipo o di un altro (“ma poi mi inculi, vero?”); c’è chi sottintende senza equivoci che poi ci sarà un momento riservato al sesso; c’è chi rimane nel vago, ma non chiede esplicitamente che il sesso rimanga escluso.

A questo punto faccio una prima selezione, chiarendo il mio punto di vista: la sessione è correzionale e basta, il sesso con maschi non mi interessa. Il 50% degli aspiranti sparisce immediatamente.
Resta quindi comunque un buon numero di giovani che accetta di essere disciplinato “senza sesso”. Tra questi c’è chi deve modificare le proprie aspettative iniziali, chi le ritiene comunque compatibili con la mia offerta, chi si dichiara persino sollevato dall’assenza di implicazioni sessuali. C’è anche chi, sin dalla prima mail, chiarisce che il sesso proprio non lo vuole. Tra questi ultimi spiccano ovviamente tutti coloro che si professano eterosessuali.
Tutti coloro che accettano/richiedono correzione disciplinare senza sesso sottolineano, con diversi gradi di intensità, il bisogno di essere puniti per proprie mancanze. Molti di essi dichiarano di essersi già rivolti a master e mistress e di avere quindi già fatto esperienza, ma di essere rimasti sostanzialmente insoddisfatti. Questo in genere accade perché l’offerta di dominazione da parte di master e mistress è generica. Non è una colpa, è un dato di fatto. C’è il master/mistress che si presenta con catene, gogne, strap-on, fruste di 2 metri in pelle di armadillo, berretti da ufficiale nazista, etc. Chiaro che tutto ciò corrisponda solo genericamente al desiderio di essere punito, ma si inserisca invece meglio in un contesto di bdsm “teatrale” in stile dungeons&dragons (come lo chiamo io).

Psicologicamente, un giovane che voglia essere punito in un contesto non-sessuale è perché ritiene di meritarsele.
Chiariamo meglio. Qualcuno confessa dei veri e propri complessi di colpa per lo stile di vita che conduce. Costoro sono i miei allievi ideali.
Qualcun altro magari non pensa sia proprio necessario, doveroso e giusto essere punito, ma gli piace l’idea che succeda. Accetto anche questa tipologia di allievi, pur ritenendola meno interessante e motivata.
Entrambe le tipologie giustificano la loro richiesta di punizione in base a mancanze piuttosto tipiche: frequentazione di siti porno, masturbazione, eccessiva promiscuità (ragione frequentemente addotta dai gay).
Io accetto ogni tipo di motivazione, perché la mia richiesta che siano gli stessi aspiranti allievi a giudicarsi da soli mi garantisce circa il loro effettivo interesse.

La cosa davvero interessante avviene dopo che io ho accettato le loro motivazioni. La prima sessione viene condotta in base alle mancanze che essi portano alla mia attenzione, ma contemporaneamente io li giudico anche in base al loro comportamento formale, che si rivela quasi sempre inadeguato. A volte vengo anche informato dallo stesso corrigendo, nel corso della sua confessione, di altri comportamenti sociali da sanzionare e dei quali sinora non mi aveva fatto menzione.
Accade così che, a valle e indipendentemente dalle motivazioni originarie e portate dall’allievo, quasi sempre giungo a identificare mancanze ulteriori, utilissime per giustificare le sessioni correzionali future.
La cosa che anticipavo come interessante è che non è mai accaduto che i miei allievi non accettassero il mio giudizio circa le loro mancanze ulteriori. Questo ha un significato estremamente importante: l’allievo sente davvero il bisogno psicologico di sottoporsi a un giudizio “terzo” e di subire un sistema di regole, sopportando le conseguenze delle infrazioni ad esse.

Sotto il profilo psicologico individuale, vuol dire che c’è molta gente desiderosa di essere sottoposta a sistemi di regole imposte dall’esterno e dispostissima a essere punita seriamente e duramente quando le disattenda.
Parlando in concreto e per esempi, quasi tutti mi miei allievi sono giunti la prima volta da me perché si facevano seghe su siti porno, ma hanno continuato a venire per tutt’altre ragioni: perché in una mail si sono dimenticati di chiamarmi “Signore”, oppure non hanno risposto con sufficiente sollecitudine, oppure hanno commesso qualche errore di grammatica o sintassi.
Ho verificato che qualsiasi sistema di regole io imponga, anche se infantile, banale o assurdo, esso viene accettato ben volentieri e fatto proprio dagli allievi. L’avvocato o l’ingegnere che sbagliano a togliersi le mutande, perché io gli avevo detto solo di slacciarsi i pantaloni, accettano di essere sanzionati, umiliati e battuti per questa mancanza. Non è compiacimento nei miei confronti (“ma sì, facciamo contento l’educatore!”) bensì desiderio di vedersi imporre una regola.
Credo che ciò contribuisca non poco a rispondere al quesito che dà titolo a questo articolo: di cosa è fatta la domanda di correzione? Di un desiderio di sottomissione a un’autorità esterna, non-sessuale, che impone regole. In questo, c’è un bisogno che definirei “infantile”, se non temessi che il termine venga interpretato in senso deteriore.
Siamo perciò molto lontani dai contesti catene-frusta, dove il master quando dice “ora ti punisco” in realtà intende “ora ti picchio perché mi va” e il piacere dello schiavo è l’essere vittima di un arbitrio. Uno schiavo non ha sensi di colpa, perché sa che il padrone agisce in base ai propri sghiribizzi. Ci può essere piacere anche nell’essere alla mercè di un potere cieco e non giustificato ma – appunto – si tratta di una scelta diversa.
Ecco perché i corrigendi che ricevo dichiarano un’insoddisfazione sostanziale per le sessioni con master/mistress: perché le sfumature che percepiscono in quelle situazioni non rispondono al loro desiderio psicologico di sottostare al percorso regola-infrazione-punizione. Si tratta quindi di diversità di domanda.
Il tipo di “gioco” (se così lo vogliamo chiamare, anche se a me non piace il termine) è molto diverso. E’ più intimo, personale, penetra più profondamente nella parte indifesa (perché infantile) della personalità. Quindi, è anche più delicato da trattare. Questo riguarda da vicino il lato dell’offerta, di cui mi occuperò in un’altra occasione.

Restando alla domanda di correzione, ci sono ancora molte cose da aggiungere.
Ho appena detto che un maschio che si denuda davanti a un altro maschio per essere punito di una colpa è – in generale – in una situazione psicologica più delicata di chi si fa semplicemente legare e frustare al palo di tortura. Questo perché, seriamente o solo per funzionalità, sta dichiarando proprie carenze personali e caratteriali e si sta sottoponendo a un giudizio. La stessa cosa può accadere anche al palo di cui sopra, ma non è obbligatoria; invece nel contesto punitore/corrigendo è assolutamente centrale. Per un uomo è sempre difficile sottomettersi al giudizio di un altro uomo e ammettere la propria inadeguatezza (le mancanze). La confessione, che è un elemento fondamentale in una sessione correzionale, verte proprio su di un’ammissione di inadeguatezza. Lo schiavo legato al palo di cui sopra non sta ammettendo niente se non il suo masochismo; l’allievo invece, mentre si confessa, ammette la propria ”stupidità”. Sa che verrà apostrofato come “stupido somaro” e in una certa misura sente di esserlo veramente. Lo schiavo al palo può sentirsi stupido o meno, ma il suo piacere principale è nell’essere alla mercè del padrone. Il corrigendo è lì proprio perché si è comportato in maniera stupida e può avere o meno anche il piacere di essere alla mercè.
In altre parole: lo schiavo è alla catena, il corrigendo la catena se la mette da solo, ed è invisibile.

Restando al tema che mi è caro, rimane certamente da chiedersi cosa chieda implicitamente un corrigendo all’educatore. Ho già detto altrove che la prima richiesta è la credibilità.
Proprio perché si tratta di una situazione molto “personale”, in cui il corrigendo deve mettere una parte di sé e non la migliore, egli ha tutte le ragioni di pretendere un educatore che sia credibile nel suo ruolo. La situazione migliore è quella in cui l’educatore crede veramente in ciò che fa. Della figura dell’educatore parlerò in un’altra occasione, ma qui mi preme sottolineare la legittimità dal lato della domanda.
Ho assistito personalmente a un paio di sessioni correzionali in cui si vedeva benissimo come la mistress di turno stesse giocando con un ruolo nel quale non credeva. Se le avessero chiesto di fare la poliziotta, o la dottoressa, o la regina delle amazzoni, per lei sarebbe stato lo stesso. Lo sapeva lei, lo sapevo io, probabilissimamente lo percepiva anche il malcapitato corrigendo. Sono situazioni un po’ come quelle in cui un buongustaio cerca un ristorante 4 stelle e invece si ritrova a una trattoria per turisti, 10 euro tutto compreso anche le bevande. Imbarazzante. Come dicono all’Actor’s Studio: “se vuoi fare Napoleone, devi essere Napoleone”. Sono completamente d’accordo.
Ecco perché – ad esempio – io sono molto attento al comportamento formale di un allievo. Se esso si dimentica di chiamarmi “Signore” a me dà fastidio veramente. La prendo sul personale, quindi mi arrabbio, quindi divento un ottimo punitore.
Oltre alla credibilità nel ruolo, la domanda di correzione fa molta attenzione ad alcuni particolari di contorno. In linea generale, possiamo riassumere asserendo che la domanda è molto attenta all’iconografia tradizionale. Questa prevede che l’educatore abbia un certo aspetto, un certo abbigliamento, determinati modi, un certo livello culturale, capacità espressive (“Ahò! Spojete che te corego!” non funziona), distacco e freddezza. Così appaiono gli istitutori dei college inglesi, così ci si aspetta di trovare l’educatore. Lo trovo giustissimo.

Come trovo giusto che le correzioni vengano applicate con alcuni strumenti punitivi e non altri. Nessun allievo si aspetta di essere picchiato con la pantofola o la spazzola per capelli: serve la bacchetta (e non di plastica!). Nessun allievo è contento di incontrare l’educatore in un bosco: occorre un ambiente che ricordi un istituto; se è in una casa, non sarà la cucina o il bagno, il massimo è lo studio.
Tutto ciò non fa la sessione, ma l’aiuta notevolmente.

Riassumendo. La partecipazione psicologica di un allievo in una sessione correzionale “all’inglese” è sempre molto forte e intima. Questo perché il ruolo che sta interpretando è più vicino all’idea che ha veramente di se stesso, cosa che non succederebbe se giocasse a fare lo schiavo dell’antica Roma, per esempio. Egli viene chiamato a rispondere di mancanze reali – o inventate, ma comunque riconducibili alla sua personalità – e viene trattato in modo degradante rispetto a esse.
Le difficoltà psicologiche si accentuano in funzione della diffusa competitività maschile, secondo la quale un maschio difficilmente accetta di ammettere le proprie lacune di fronte un altro maschio.
Per tali ragioni, chi si propone come allievo di una sessione correzionale ha – in genere – una motivazione molto forte, che oltrepassa il semplice desiderio di gioco. Egli richiede quindi che l’educatore/punitore sia molto credibile, perché è necessario che l’intera ambientazione supporti l’oggettiva difficoltà psicologica (vergogna autentica) di trovarsi in una simile situazione. La vergogna è anche una sensazione invocata molto spesso, in una sessione correzionale, perché questa comprende umiliazioni quantomeno verbali, momenti di isolamento del corrigendo, continui riferimenti espliciti e impliciti alla sua stupidità comportamentale.
Credo che in pochi contesti come quello di pura correzione il corrigendo si senta così nudo come di fronte a un educatore.

EducatoreSevero

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