Squilla il telefono:
“Pronto. – un attimo di silenzio e poi… Smack, un bacino virtuale – Amore, sei tu… Che bello, sono quasi arrivata. Aspettami al solito posto… “
Manca davvero poco. Pochi minuti, simili ad una lunga strada in salita, da percorrere col cuore in gola e col fiato spezzato dalla spasmodica attesa.
Ero in piedi, nel corridoio di quel treno, mi guardavo intorno cercando non so cosa potesse distogliermi dal pensare che mancasse davvero poco. Ma il tormentato piacere è cosi’ dolce ed inebriante che non posso fare a meno di gustarmelo sino all’ultimo.
Il capotreno annuncia la fermata: è la mia. Il treno sta via, via frenando la sua corsa, come un film in bianco e nero che racconta di quell’ ultimo abbraccio tra i due amanti , vissuto al rallentatore.
Ecco, ancora un istante e… Alt! Si è bloccato.
Mi accerto di aver raccattato tutto… Mi sembra di essere a posto… Ops, un’ultima occhiata nel mio specchietto: ammicco un sorrisetto soddisfatto e mi dico “sono davvero a posto”.
Come spesso capita, la mia è una delle ultime carrozze… Dunque, un ulteriore pezzetto di strada frapposto tra me e il mio amore… Ma non ci spaventeremmo neanche se ci fossero ulteriori mille chilometri a separarci. Abbiamo imparato ad aspettare. Anzi, me l’ha insegnato lui. Io che vorrei, sempre e in ogni caso, tutto e subito, mi trovo “costretta” a dover attendere e, talvolta, a dovermi accontentare.
Ma sento che ne vale la pena, stavolta – davvero – il gioco vale la candela.
Ebbene, sapevo che, anyway, sarebbe stato li’, in testa al binario, pronto ad abbracciarmi.
Cosi’, percorro quegli ultimi metri, con l’affanno di chi ha fretta di concludere e con la tranquillità di chi sa, che in fondo, è quasi fatta.
Riesco ad individuarlo quasi subito… Ma che dico…, subito! Lo distinguerei tra mille…
Non posso che sorridere. E non ci resta che abbracciarci.
Dio, non immaginerete mai quanto sia bello – secondo me – desiderare qualcosa… bramarla con ogni atomo del propria materia… e poi, la soddisfazione di ottenerla…è davvero magia.
“Stringimi forte” gli dico, gettandogli le braccia al collo.
“Tranquilla, sono qua “ mi risponde con quella sua solita voce che non può che infondere calma e tranquillità.
Ci dirigiamo verso casa. Che incatenvole atmosfera nasce attraversando quel viale alberato… Quale fantastica ebbrezza procura quell’intenso profumo dei tigli… Ora sì che mi sento davvero a casa.
Siamo arrivati. Lui mi apre la porta; salgo affannosamente le scale; ho bisogno di ritrovare le mie cose… di risentirmi parte integrante del mio mondo. Del nostro mondo, solo mio e suo.
Mi sento felice come una bambina tra mille giocattoli… quella felicità innocente, pura, monda, sento che mi appartiene ancora. O meglio, io appartengo a lei.
Ma provate a sottrarre quel giocattolino, si’ proprio quello li’ tra mille… E guardate cosa succede:
“Amore, allora, che facciamo stasera?” chiedo;
“Facciamo che ti riposi e io vado alla mia cena di lavoro, come ti avevo già detto.”
“Cosa? Vorrai scherzare… Spero!” – rispondo indignata – “Ti avevo chiesto di non prendere impegni… Ma mi ascolti quando ti parlo o cosa?”
“Tesoro, evidentemente, sei tu che non ascolti. Ho questo benedetto appuntamento, fissato da settimane e tu lo sapevi bene!“ mi ammonisce senza perdere la calma.
“Cavolo! Ma è da settimane che sapevi del mio ritorno… Avresti potuto fare qualcosa per spostarlo… Comunque, non importa… Fai quello che ti pare! Io sono stanca e non ho voglia di far questioni.“
Comincio a mostrarmi davvero seccata. Gli volto le spalle e dico, con aria quasi indifferente:
“Si capisce che non tieni abbastanza a me… Ma, vai… vai… posso capire… che”
Non riesco a terminare… Mi interrompe prendendomi per un braccio, mai con arroganza sempre con quella dolcezza ma anche decisione che lo contraddistingue e mi fa voltare verso di lui.
“Cosa stai dicendo? Se non tenessi a te, non avrei fatto i salti mortali per stare insieme… Te lo ricordi, vero? Non accetto che tu dica una cosa del genere, neanche per gioco!“
Non sono tanto le sue parole o i suoi rimproveri ad impietrirmi, quanto il suo sguardo, solitamente cosi’ caldo e rassicurante, che, improvvisamente, non si lascia vincere da alcuna emozione. Ma è proprio questo stesso sguardo a tradire il suo tono sempre pacato nei miei confronti. Riesco a cogliere la stizza, per la mia frase sciocca… forse si sente quasi offeso.
“Ma dai… Non parlarmi cosi’… Sembra che sia sempre io nel torto! Ti avevo chiesto solo di poter stare un po’ insieme, stasera! Nient’altro…“
“Guarda, quando fai la bambina… “ mi dice, sorridendo.
“Ma che bambina? Meglio che mi lasci in pace… Mi sto incazzando davvero… Tu continua con questo atteggiamento… Mi fai solo innervosire!“
“… cos’è? La bimba fa i capricci? Non sarà che fa tutto questo per essere punita?“
Non so ben spiegare cosa siano capaci di suscitare in me queste parole… Eppure non le ascolto per la prima volta… A me, però, danno sempre la sensazione che lo sia. Quei brividi che non conoscerò mai abbastanza, sembrano prendersi gioco di me. E’ più forte di me, non posso far altro che continuare a stuzzicarlo. Infatti, continuo su quella scia… Finchè:
“Vai che sei già in ritardo!“
“Non preoccupati, c’è tutto il tempo per la tua punizione…“
“Dai… non scherziamo… sono stanca, per favore… non mi va di continuare a parlare“
“Spogliati!“
“Cosa? Ma…”
Quel “ma” mi resta in gola… Ecco il primo schiaffo sulla mia guancia sinistra; non fortissimo, quel tanto che basti per mettermi al mio posto e per fami capire che la cosa sia più “seria” di quanto immagini.
“Spogliati, ho detto!“
Non sapevo cosa fare… ma, per esperienza sapevo che non coveniva indugiare ancora… Mi decido, mi faccio forza…e… niente… non ci riesco.
Lui si avvicina e con estrema dolcezza ma anche decisione, comincia a togliermi la maglietta e, successivamente, a tirare giù la mia gonnellina.
“Forza… – mi dice – il resto puoi farlo da te”.
Rimane a fissarmi mentre slaccio il reggiseno e sfilo le mutandine.
“Ora piega tutto per bene, sai che non sopporto il disordine… Sulla panca adesso, reggiti bene e culo esposto, proveremo qualcosa che ti è già familiare….”
Si allontana un attimo… Poi torna e tra le mani ha un battipanni di vimini! Uno di quei battipanni antichi, dalla forma elegante e ricercata, di un vimini flessuoso e resistente insieme. Sapeva che ne ho una paura matta; più di una volta ha detto che me lo avrebbe fatto assaggiare, per aiutarmi a superare quella paura.
“No, ti prego, lo sai, no… non voglio, non posso… davvero, per favore…”
Faccio per alzarmi ma avverto la mano di lui che mi tiene incollata alla panca.
”Sssssss… non voglio sentire storie, voglio solo dartele ora…”
Sento un vibrare nell’aria e, subito dopo, un bruciore che mi toglie il fiato.
La SpankAcademy è lieta di aver ospitato un racconto di Paul Stoves. Chiunque volesse inviare i propri racconti, le proprie lettere, riflessioni, le foto curiose prese dal web o quant’altro per contribuire al blog di SpankAcademy può farlo via email all’indirizzo spankacademy@gmail.com
Squilla il telefono…
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