Un incontro

Per evitare di disquisire dei massimi sistemi solo teoricamente, ho pensato di fornire qualche esempio delle mie sedute correzionali. Quindi comincio con un esempio del tutto atipico, che si riferisce alla per me insolita procedura di accettare un corrigendo che vuole solo fare esperienza, senza un preciso piano correzionale. L’incontro è avvenuto circa sei mesi or sono.
Buona lettura.

Un giovane, che qui chiamerò Giuseppe, ha chiesto di incontrarmi per “provare la dominazione”. Solitamente non accetto richieste così generiche, ma per tutta la durata dei contatti preliminari (via mail) il giovane in questione si è sempre dimostrato ben educato e rispettoso, cosicché ho acconsentito al suo desiderio di provare. Egli aveva dichiarato di avere già esperienza di sottomissione e di aver già provato ad essere battuto con una certa durezza.
Come faccio con tutti i novizi, gli ho illustrato per sommi capi lo svolgimento della sessione.
Poiché portava i baffi, che esteticamente non gradisco, gli ho ordinato di presentarsi sbarbato. Mi sono inoltre fatto mandare delle foto. Questo lo faccio sempre, per due ragioni: la prima è verificare la buona volontà del corrigendo, chiedendogli di porsi davanti all’autoscatto in pose inequivocabili e vergognose, la seconda – più tecnica – è per determinare visualmente la carnosità delle terga, che mi serve a scegliere lo strumento correzionale principale. Nel caso di Giuseppe, trattandosi di terga piuttosto magre, ho optato per lo scudiscio, in quanto la bacchetta non è adatta a culi poco carnosi.

L’incontro
Ho deciso di ricevere il giovane nel mio studio. Scambiati i numeri di cellulare, gli ho comunicato orario e luogo in cui farsi trovare, vicinissimo al luogo della sessione, tanto che dalle mie finestre potevo verificare il suo aspetto e comportamento nell’attesa.
Io sono molto preciso e puntuale, per cui ho resistito alla facile tentazione di lasciarlo a macerare nell’attesa per qualche minuto.
Il mio stile prevede meno familiarità possibile tra me e il corrigendo: a tal motivo sono sceso in strada e dall’altra parte del marciapiede gli ho semplicemente fatto un gesto che gli indicava di attraversare la strada e venire al mio cospetto. Come gli era stato precedentemente ordinato, egli mi ha salutato con il prescritto “Buongiorno, Signore” al che io ho risposto con un semplice “Seguimi”.
Ricevere un corrigendo nel proprio ambiente (casa, studio, ogni altro locale da noi conosciuto) presenta un aspetto di indubbio vantaggio: pone il giovane a disagio, perché lui si trova improvvisamente in un contesto sconosciuto che invece è familiare all’educatore.
Io impiego molta attenzione nel creare da subito una profonda “asimmetria relazionale”: voglio che la differenza di ruoli, esperienza, personalità risulti chiarissima e che il corrigendo ne senta il peso.
Per ottenere l’effetto migliore, non appena entrati nel mio studio l’ho introdotto in un breve corridoio senza finestre e gli ho ordinato “Mettiti completamente nudo”. Possiamo indentificare questo momento come l’inizio della sessione.

La sessione
Come ho detto all’inizio, in questo caso non si trattava di una sessione correzionale vera e propria, ma semplicemente di una mia gentile concessione al desiderio di esperienza del giovane. Se mancava quindi l’intero contesto motivazionale colpa/punizione, a Giuseppe era però stato presentato in precedenza (via mail) una sorta di “piano procedurale” in cui si era giunti agli importanti accordi di massima circa il mio possibile operato e quanto quindi egli accettava a priori. Tra questi accordi un elemento fondamentale è la safeword, che io intendo applicabile non solo per interrompere il dolore fisico, ma qualsiasi aspetto della sessione che il corrigendo possa trovare insostenibile. Sul tema dell’uso della safeword mi soffermerò in un’altra occasione.
Giuseppe si è quindi dovuto denudare completamente di fronte a me, che osservavo in silenzio. Da come uno si spoglia, quanto tempo ci impiega, cosa fa dei vestiti, come si posiziona una volta nudo si capiscono moltissime cose circa la sua buona volontà, il suo disagio, le aspettative, il grado di rispetto, etc. E’ il primo vero test per un nuovo allievo e l’educatore deve saper raccogliere quante più informazioni possibili da esso.
Una volta nudo, gli ho ordinato di mettersi a 4 zampe, nella stessa postura che aveva assunto nella foto con autoscatto che mi ero fatto mandare qualche giorno prima. Gli ho quindi ordinato “Resta così” e me ne sono andato chiudendo la porta e lasciandolo quindi in un buio quasi totale.
Un educatore degno di questo nome conosce molto bene il valore dell’attesa di un corrigendo lasciato solo. In un primo incontro, questo valore si moltiplica automaticamente per dieci. Mi dà molto piacere, mentre fumo una sigaretta tranquillamente seduto in poltrona, pensare che a pochi metri da me, del tutto isolato, c’è un allievo nudo e a 4 zampe, al buio, che sa soltanto che è lì per essere battuto. Uno che non mi conosce, non conosce il posto in cui è, ma deve badare a mantenere con precisione la postura che gli è stata imposta. Anche questo – ho ragione di credere – è un ottimo test motivazionale, no?
Dopo una decina di minuti ho riaperto la porta del corridoio e gli ho ordinato “Vieni”. Al centro della stanza principale dello studio avevo posto una sedia. Sempre in base agli accordi via mail il giovane sapeva che per prima cosa sarebbe stato sculacciato sulle mie ginocchia.
Io non attribuisco a una sculacciata a mano libera un valore punitivo. Ma la uso sempre, per sottolineare la distinzione di ruoli: un maschio sulle ginocchia di un altro maschio, il primo nudo e a culo all’aria, credo sia un ottimo quadro che chiarisce in modo definitivo chi ha autorità e chi deve mostrare sottomissione. Inoltre, in un primo incontro, dopo tante parole spese via mail ma senza ancora alcun riscontro concreto, una sculacciata a mano libera esemplifica in pratica cosa intendo affermando di essere severo. La mano non fa male quanto la bacchetta, quindi può (deve!) essere calata con tutta la forza possibile. Il corrigendo sente perciò, ancora prima del dolore, l’energia che l’educatore pone nell’impartire la disciplina e si fa un’idea di cosa significherà tra poco assaggiare la bacchetta o lo scudiscio.
Una sculacciata, per l’educatore, è un ottimo modo per testare ulteriormente l’allievo; non più sul suo ormai verificato interesse per la situazione, ma sulla sua resistenza e la sensibilità della pelle.
Il giovane Giuseppe si è quindi sentito scaldare a dovere le chiappe dalla mia mano. Il mio scopo, in questa fase, non è di far piangere e gridare, ma certo di lasciare al corrigendo qualcosa cui pensare durante la successiva fase di castigo.
Finita la sculacciata, il giovane è stato fatto mettere di fronte a me, il viso al livello del pavimento e il culo invece ben alzato. Come sempre faccio, ho lasciato passare qualche minuto di perfetto silenzio, dopodiché ho provveduto a infilargli nel buco del culo un plug anale di una certa consistenza. C’è tutta una teoria sui diversi tipi di plug e sul loro utilizzo, su cui mi soffermerò in un’altra occasione. Nella fattispecie, mi interessava che il giovane si sentisse completamente “occupato” nella sua intimità posteriore e non si corresse alcun rischio di espulsione spontanea.
Di solito, in una sessione correzionale standard, questo è il momento in cui mi diletto ad umiliare verbalmente un corrigendo, facendogli “vedere se stesso” attraverso le mie parole: gli descrivo la sua postura invereconda e il suo stato di sottomissione, immaginando anche il sarcastico giudizio che della situazione potrebbe dare un ipotetico spettatore esterno (tra parentesi, questa è una tecnica che funziona in maniera splendida con coloro che si professano esclusivamente eterosessuali). Tuttavia, poiché si trattava di una semplice sessione “illustrativa”, ho mantenuto il silenzio e anzi mi sono completamente disinteressato del soggetto ai miei piedi.
Dopo un’altra sigaretta gli ho comunicato che era giunto il momento di assaggiare lo scudiscio, secondo il suo desiderio di sperimentare e gli accordi prestabiliti.
Estraendo io stesso il plug, ho brevemente commentato l’odore nauseabondo che su di esso si era depositato, dopodiché ho ordinato al giovane di rimettersi i jeans e posizionarsi in ginocchio sulla poltrona. Perché i jeans? Con certe posture e alcuni strumenti correzionali “imprecisi” come lo scudiscio, sussiste il rischio di colpire parti molto delicate come lo scroto, il che non è assolutamente tra i miei obiettivi e soprattutto può essere oggettivamente pericoloso. Dei jeans calati in modo da esporre il culo ma coprire le palle sono una garanzia per l’incolumità dell’allievo.
Devo dire che l’affermazione di Giuseppe, nel corso dei contatti email, di aver già subito battiture severe e di essere pronto a ricevere più colpi di quanti gli avevo proposto mi aveva lasciato con un certo qual senso di sfida. Pertanto avevo deciso di cominciare subito a picchiare con durezza.
Erano stati stabiliti 40 colpi. Picchiato con severità ed esperienza, il giovane ha cominciato a perdere la chiarezza nella voce con cui era obbligato a contare ogni colpo prima che il decimo di essi venisse calato. Non è questa la sede che desidero utilizzare per descrivere le mie tecniche di battitura, tuttavia posso affermare con una certa soddisfazione che al ventesimo colpo Giuseppe saltava per bene a ogni scudisciata e faticava non poco a riacquistare la postura corretta nei tempi che io richiedo.
Sono rimasto molto soddisfatto e divertito quando, appena ricevuto il 27mo colpo, Giuseppe ha gridato la safeword. Il giovane involontariamente presuntuoso e inconsapevolmente arrogante si era dovuto arrendere.
Quando sento la safeword, qualsiasi mia azione si interrompe, così come l’intera sessione.
Gli ho quindi detto di rivestirsi e andarsene. Non ho voluto sentire né giustificazioni, né scuse o spiegazioni o descrizioni delle sensazioni provate. Per me, aveva avuto quello che chiedeva e il nostro rapporto si interrompeva all’istante.
Naturalmente, non è ciò che avviene con un normale allievo, ma in questo caso un po’ diverso, sì.

Giuseppe non è divenuto mio allievo. Lo trovo abbastanza comprensibile, date le premesse dell’incontro. Ogni tanto lo vedo collegato su yahoo e mi saluta in chat, ricordandomi dell’esperienza fatta con me. Non so se ne abbia provate altre, successivamente, e non mi interessa neanche approfondire il tema. La mia attenzione è rivolta ai miei allievi, quelli che considero e si considerano tali e dei quali forse avrò occasione di parlarvi una prossima volta.

EducatoreSevero

PS.: le foto accluse all’articolo non sono prese dal web, ma si riferiscono proprio al giovane in questione. Come si evince dalle due diverse ambientazioni, una è quella che gli ho chiesto di mandarmi preliminarmente: come ho detto nel testo, esigo sempre una postura nudo a 4 zampe. Le altre foto invece sono state scattate nel mio studio. I segni sono quelli del mio scudiscio.

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