Oggi frusteranno Mary Jane. Di fronte a tutto il corpo docente.
Personalmente non mi piace frustare le alunne. Sì e no, adopro il paddle una o due volte l’anno, e solo per i casi più eclatanti. Mary Jane si è comportata molto, molto male con l’insegnante di matematica: le ha dato addirittura uno schiaffo. Ventiquattro frustate e sarà la stessa professoressa a dargliele.
Alle cinque precise, siamo tutti nella palestra, noi insegnanti. Rose è seduta accanto a me. Tutti sanno della nostra relazione, ma nessuno ne ha mai fatto cenno. Entra Mary Jane e, dietro di lei, l’insegnante di matematica: in mano ha la bacchetta. Mary Jane è una tra le più anziane del College. Anch’io l’ho avuta come allieva, tre anni fa. E’ alta, bionda, paffutella. Si guarda attorno smarrita. Sa quello che deve fare. Si piega sul cavallo da ginnastica. La prof. K le solleva la gonna e le abbassa le mutandine. Mary Jane ha proprio un bel posteriore: paffuto, carnoso, prominente. La prof comincia a parlare, speriamo sia breve. Ricorda a Mary Jane le sue colpe, il suo comportamento altamente scorretto, la punizione giusta e clemente. Le ricorda che dovrà contare i colpi forti uno per uno, voce alta. Non le è concesso urlare.
La prof fa un passo indietro. Col frustino batte leggermente le natiche della ragazza, che fremono. Le arrossa appena appena. Poi solleva il braccio e cala la prima frustata. La carne sobbalza, Mary Jane emette un gemito e soltanto dopo qualche istante dice, a voce udibile: “Uno”.
La professoressa ricomincia con i suoi tocchettini. La cosa si prospetta lunga, ma interessante. Dopo il sesto o settimo colpo forte, la mano di Rose sulla mia coscia comincia a stringere la carne: mi fa male, attraverso la stoffa dei calzoni sento le sue unghie che mi graffiano. Come prassi, a metà della punizione, viene concesso alla ragazza di sollevarsi per un poco: le sue mani corrono immediatamente a massaggiarsi il culo bello rosso scarlatto. La professoressa le fa cenno di rimettersi giù. La invita ad allargare le gambe, per quanto concessole dalle mutandine celesti, ormai scese ai polpacci. Dal mio posto posso vedere la pelosa vulva di Mary Jane. E’ eccitante.
Il preside, accanto a me, si sistema gli occhiali, Rose, dall’altra parte, ha le labbra serrate e biancastre, la sua mano sempre sulla mia coscia. Salta il culo di Mary Jane, salta ad ogni colpo forte. La prof non ci va leggera: ha ancora troppo astio; gocce di sudore le imperlano la fronte. Profondi solchi rossi rigano le natiche di Mary Jane: stanno diventando sempre più cupi.
Dopo circa mezz’ora, la punizione è finita: la ragazza ha contato tutte le due dozzine di colpi ricevuti. Deve stare ancora chinata, mentre la prof si augura che la punizione ricevuta la faccia migliorare per il futuro; poi si alza ed è costretta a rimanere con le braccia lungo i fianchi, gli occhi pieni di lacrime: il sedere le deve fare un male cane. La corta gonna è rimasta ancora alzata sul pancino: mostra il pube peloso.
La mano di Rose stringe ancor più la mia coscia, poi la sposta un po’ più in là: è soddisfatta del risultato della sua esplorazione! Pure il Preside ci si mette a fare il discorsetto. Grazie a Dio sono poche parole, poi ci congeda. Mary Jane rimane così, semi nuda, al centro della palestra. Uscendo, Rose mi sussurra “Alle nove, da me.”
Chiude la porta appena sono entrato. Mi bacia appassionatamente sulla bocca, ma senza lingua. Ci fa schifo, ad entrambi. Ha una vestaglia color rosso, chiusa fino al collo. Rose ha una decina d‘anni meno di me; è una bella donna, alta, formosa, rossa : col tempo, grazie al parrucchiere, ha accentuato la colorazione dei capelli. Anche lei non si è mai sposata. Nel suo campo, è una vera e propria autorità.
Ci frequentiamo ormai da un lustro. Ci conosciamo abbastanza bene, reciprocamente. Non perde tempo. Mi porta subito in camera da letto: il suo talamo è una di quelle cose medievali, grande e grosso con un gigantesco baldacchino sopra. Non ho mai capito come faccia a dormire lì tutte le notti: l’intera camera è sui toni del rosso scuro; sembra la scena di un film dell’orrore. Mi metto a sedere su una poltrona, lei sulla sponda del letto. Comincia lei:
“Ti sei eccitato a vedere frustare la ragazza oggi pomeriggio, vero!”
Non era una domanda ma una constatazione: d’altronde pure lei aveva constatato de manu. Continuò: “Anch’io, sai? Vedevo quel culo fremere, appiattirsi, slanciarsi, ad ogni vergata….quasi quasi invidiavo la ragazza…Ahhh.”
E già, Rose è profondamente masochista! Me l’ha raccontato: la madre la sculacciava spesso da piccola e qualche volta l’ha frustata. Il vizio le è rimasto … apposta s’è messa con me: afferma che la faccio godere e soffrire e godere.
“Dai, fallo con me! fallo per me! Aspetta…” si alzò, andò di là e ne tornò con un ramo.
Un semplice, naturale ramo d’albero spesso un mezzo pollice e lungo poco più di due piedi. Chiuse la porta a chiave dietro di lei, spense la luce grande. Tre abat-jour diffondevano un piacevole chiarore.
Si tolse la vestaglia, sotto aveva il pigiama solito, quello bordeaux, quello che, dice, adopera solo per me. Mi ero tolto la giacca e la cravatta e mi stavo sbottonando la camicia.
Questo c’è di bello tra noi: non ci sono mai troppe parole. Alzò i lembi della sua giacca del pigiama, con i pollici allargò l’elastico dei calzoni e se li tirò giù, fino alle ginocchia. Poi si inginocchiò sulla sponda del letto, le lunghe gambe leggermente curvate.
Ha un gran bel deretano, io lo definisco burroso. Mi avvicino e le mollo uno sculaccione; ha un sussulto. Volge la testa e si passa la lingua sulle labbra. Prendo il frustino, la percuoto leggermente, allarga le natiche, le stringe, così come fa col le cosce. Le dico
“Stai pronta”, alzo il braccio ed il frustino arriva veloce e pesante sulle sue natiche.
“Oddio- geme- fa male”. Ricomincio a darle colpettini, allarga ancor più le cosce. Le passo la mano sinistra sulla vulva protesa. La ritiro.
“Adesso!” mi ordina.
Altra frustata. Si morde la mano. Gira il capo, alcune lacrime le bagnano il ciglio. Le picchietto le cosce, con il frustino. Lei punta i piedi, si mette semi ritta ed allarga le gambe.
“Dai” mi fa. Stavolta il legno risuona più cupo sulle natiche tese. Tra il diffuso rossore, ha tre strisce più scure. Le massaggio il culo, prima piano piano, poi sempre più velocemente. Freme. Porta in alto il bacino. Passo alla sua destra, porto di rovescio il colpo, radente alla pelle. Molto doloroso.
Le lascio il tempo di respirare. Poi torno a picchiettarla alla base delle cosce. Il suo ano si contrae. E’ necessario che io mi tolga i pantaloni. Vedendomi sedere, pensa che abbia finito. L’espressione del viso è un po’ delusa. La rincuoro subito. Torno ad impugnare il ramo. Non se lo aspetta, così violento!
“Mi hai fatto male!”
“Lo so!” seguito a darle dei tocchettini: è allo spasimo; tenta di portarsi una mano al basso ventre. Fortissimo. Il ramo si spezza: poco stagionato. Lei finisce lunga sul letto.
Sta ansimando. Si gira, si strappa la giacca del pigiama, i seni prorompenti ne schizzano fuori. Ha ancora i calzoni abbassati; contorcendosi se li leva del tutto. Così facendo mostra ancora le sue grazie. Mi metto in ginocchio sul letto, accanto a lei.
Con una mano mi cala gli slip. Indugia sul mio pene. La bacio, le succhio i capezzoli. Geme, profondamente, laidamente. Guida il mio pene nella sua vagina. Mi graffia le spalle, abbracciandomi. L’orgasmo è contemporaneo per entrambi. Una rarità nel nostro rapporto.
Passa più di un’ora, prima che mi chieda di spalmarle la crema. Vado a prenderla: so dov’è. Il suo grosso sedere è ridotto maluccio, è pure leggermente ferito. Aspetto che la crema asciughi. Poi le do un paio di sculaccioni, molto pesanti. E’ piccata. La tengo ferma e giù altre quattro o cinque pacche. Le sue chiappe si fanno ancora più rosse.
“Cattivo!” smorfiola.
Comincio a rivestirmi. Lei è ancora nuda lì sul letto, col sedere all’aria. Giro la chiave nella toppa, per uscire. Lei:
“Aspetta un attimo. Quand’è che frusteranno qualcun’altra?”.
Una punizione corporale … con seguito. Di Bob Knee – RACCONTI dei LETTORI
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